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Borsellino, il falso pentito e il depistaggio sulla Fiat 126

di Elisa D'Alto |8 Marzo 2012 13:23

La strage di via D'Amelio (Foto Lapresse)

PALERMO – Sulla strage di via D’Amelio, quella in cui morì il magistrato Paolo Borsellino con 5 agenti di scorta, ci fu un depistaggio. E’ la conclusione a cui è arrivata la procura di Caltanissetta a 20 anni di distanza. Falsi pentiti che volutamente hanno cercato di depistare le indagini. Tutto ruota intorno al misterioso furto della Fiat 126 che quel 19 luglio del 1992 venne imbottita di tritolo e fatta esplodere.

Di quel furto si incolpò Salvatore Candura, un personaggio di cui nessun mafioso fino al 1992 aveva mai sentito parlare. Sostenne, insieme ad un altro falso pentito, Vincenzo Scarantino, di aver organizzato la prima parte dell’attentato. Ma che Candura ha detto il falso lo scopriamo oggi, dopo 3 sentenze. E dopo che un altro pentito, vero stavolta, ha parlato. Gaspare Spatuzza ha rivelato agli inquirenti fatti fino ad allora sconosciuti. Ha raccontato di essere stato lui l’autore del furto e che Candura non c’entrava.  A quel punto la Dia decide di fare un riscontro per scoprire chi dei due dicesse il vero. In sostanza gli investigatori hanno chiesto a Candura e a Spatuzza di indicare il luogo del furto della 126 e i due hanno indicato due diverse vie. A risolvere la questione è la ex proprietaria della macchina che ha indicato lo stesso luogo di Spatuzza. Candura, quindi, mentì.

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