Pensioni d’oro: quelle di Stato coi soldi pubblici. Chi se l’è pagata e chi no

Pensioni d'oro: quelle di Stato coi soldi pubblici. Chi se l'è pagata e chi no
Pensioni d’oro: quelle di Stato coi soldi pubblici. Chi se l’è pagata e chi no

ROMA – Pensioni d’oro, pensioni di Stato. C’è chi (seppur d’oro) se l’è pagata, con il sistema contributivo, e chi no, almeno non tutta. Pensioni altissime grazie a leggi, sempre di Stato, che hanno consentito in alcuni casi la decuplicazione dell’assegno. Sergio Rizzo sul Corriere della Sera ricorda una “leggina” approvata in tempo record nel 1994. E che consentiva il passaggio al Fondo dei telefonici presso l’Inps di chi godeva già di una pensione di una gestione diversa, magari sempre di un fondo Inps, come l’Inpdai, il fondo per i dirigenti.

Il fatto è che, allora, i manager pubblici avevano un tetto alle pensioni di 200 milioni di lire l’anno. Il fondo Inps dei telefonici non aveva questo tetto, perché era il fondo dei dipendenti comuni che di certo non arrivavano ad accumulare assegni annuali del genere. I manager del settore telefonico, insomma, costruivano la loro pensione col sistema contributivo. L’assegno, quindi, se lo pagavano. Ma con questa legge del ’94 sono riusciti a sforare il limite dei 200 milioni. Scrive Rizzo a proposito dell’ex manager della Stet, la finanziaria telefonica pubblica:

Fu così che Biagio Agnes, pensionato dal 1983, riuscì a decuplicare il suo assegno: da 4 milioni di lire a 40 milioni 493.164 lire al mese. Decorrenza, marzo 1994. Un mese dopo l’approvazione della legge.

Abbiamo infatti scoperto che nel 2013 c’è chi, l’ex manager della Telecom inventore della «carta prepagata» Mauro Sentinelli, porta a casa 91.337 euro al mese. Il triplo di quanto varrebbe oggi la pensione di Agnes, che allora sembrava stratosferica. E il doppio di quella, addirittura extraterrestre, cui ha diritto dal 1999, quando aveva 55 anni, il suo ex capo Vito Gamberale: partiva da 75 milioni e 600 mila lire al mese.

Anche perché le regole del contributivo garantivano pensioni praticamente identiche all’ultimo stipendio. Il capo della Sip Paolo Benzoni andò via con 39,2 milioni di lire al mese. Ernesto Pascale con 42. Francesco Chirichigno con 36. Umberto Silvestri con 38,5. Francesco Silvano con 37,3.

Tetto o non tetto, fin qui le pensioni, seppur altissime, pagate con i contributi di una vita lavorativa. Poi Rizzo passa ai casi dei manager Enel e al loro fondo integrativo aziendale pagato “dagli utenti con le bollette:

Basterebbe ricordare i sontuosi trattamenti previdenziali dei dirigenti dell’Enel, che potevano aggirare il limite dei 200 milioni annui grazie a un faraonico fondo integrativo aziendale pagato dagli utenti con le bollette. Memorabili alcune pensioni, come quelle dei due direttori generali che si sono succeduti prima della trasformazione in spa, Alberto Negroni e Alfonso Limbruno, che si ritirarono entrambi con assegni da 37 milioni (di lire) al mese.

 

 

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