Permesso premio per la Via Crucis a uno dei killer della banda della Uno bianca

Pubblicato il 3 Aprile 2010 - 11:01 OLTRE 6 MESI FA

Marino Occhipinti durante la Via Crucis

Permesso premio in occasione della Via Crucis per Marino Occhipinti, l’ex poliziotto della questura di Bologna della Banda della Uno Bianca condannato all’ergastolo. L’uomo è uscito dal carcere di Padova per partecipare a una Via Crucis, organizzata da Comunione e Liberazione a Sarmeola di Rubano, nel padovano, nella sede dell’Opera della provvidenza di Sant’Antonio.

Occhipinti, accompagnato da alcuni parenti, ha sorretto la croce durante la processione per un breve tratto, avvicendandosi con alcuni detenuti. E’ il primo permesso di uscita (per 5 ore e mezza) dopo 16 anni di carcere.

Il permesso premio è arrivato dopo ripetute richieste, sempre respinte. Un permesso lampo, cinque ore appena, con l’opportunità di incontrare anche la famiglia.

Rosanna Zecchi, presidente dell’Associazione vittime della Uno Bianca, reagisce duramente alla notizia: «Non possiamo tollerarlo. Lui è stato zitto per sette anni, sapeva cosa faceva la banda e avrebbe potuto salvare delle vite se avesse parlato. Sappiamo che la legge è dalla sua parte, ma non possiamo perdonarlo». «Se il giudice ci avesse informato prima – continua – gli avremmo detto di non farlo: avrebbe dimostrato almeno un po’ di sensibilità. I giudici non si mettono mai dalla parte della vittima».

La storia della banda della Uno bianca. Ventiquattro morti, 102 feriti, 103 azioni criminali: quella della banda della Uno bianca è una storia da incubo che vide implicati un gruppo di poliziotti, un gruppo criminale, guidato da Fabio Savi , che entrò in azione nel 1987 e che in sette seminò il panico in tutta l’Emilia Romagna. Armati, senza scrupoli, assaltano supermercati, banche, caselli autostradali e distributori di benzina. Atti criminali che si accompagnano sempre a sparatorie e morti. Il primo ‘colpò lo realizzano proprio nel 1987 a Casalecchio sul Reno in un supermercato. Qui non rubano niente ma solo perchè un furgone blindato aveva già portato via l’incasso della giornata. Uccidono però due carabinieri di 22 anni e feriscono tre persone. Le rapine si succedono una dopo l’altra, almeno una decina. Dal 1990 bersaglio dei banditi della ‘Uno Bianca ‘ diventano anche gli abitanti di campi nomadi (23 dicembre 1990) e gli immigrati nordafricani (18 agosto 1991).

Tra i fatti di sangue più gravi compiuti dai fratelli Savi e dai loro complici c’è quello della strage avvenuta al Pilastro, un quartiere popolare di Bologna, dove il 4 gennaio 1991 tre carabinieri in servizio di pattuglia vennero uccisi a sangue freddo. I componenti di questa banda sono per la maggior parte poliziotti in servizio a Bologna: Roberto, Fabio ed Alberto Savi , ora condannati all’ergastolo, Pietro Gugliotta, condannato a 15 anni e Marino Occhipinti, anche lui all’ergastolo, Luca Vallicelli, condannato per fatti marginali ha patteggiato la pena. Gli uomini della Uno Bianca sembrano invincibili, le loro azioni sono studiate nei minimi particolari e le vie di fuga sono collaudate da anni d’esperienza. Ma ad osservare le loro azioni ci sono due poliziotti riminesi.

Si chiamano Luciano Baglioni e Pietro Costanza. Nel novembre del 1994, la svolta. I due agenti imboccano la pista giusta e si mettono sulle tracce degli assassini. Ripercorrono date e orari delle rapine e degli omicidi, controllano tutte le descrizioni e gli identikit realizzati in anni di testimonianze. Se le indagini ufficiali sembrano concentrarsi sulla malavita locale e su quella che ha legami con la Sicilia, Baglioni e Costanza continuano un’indagine parallela che si basa su un sospetto: i componenti della ‘Uno bianca’ potrebbero essere dei poliziotti. Una supposizione che si basa sul fatto che i killer sparano troppo bene, conoscono strade e vie di fuga, riescono sempre a fuggire eludendo i posti di blocco. È la mattina del 3 novembre 1994. Baglioni e Costanza sono davanti a una banca di San Giustina, in provincia di Rimini. Davanti a loro, parcheggiata, c’è una Uno bianca con la targa quasi illegibile.

All’interno c’è un uomo alto. Si tratta di Fabio Savi che si trova lì per fare un sopralluogo, preambolo di un ennesimo colpo programmato dalla banda. Baglioni e Costanza iniziano a seguirlo, lo pedinano e lo seguono fino a Torriana dove Savi abita in una palazzina al numero 29 di Piazza della Libertà. Da lì riescono a risalire ai componenti della banda. I loro telefoni vengono messi sotto controllo e così si scopre chi è a muovere i fili. I Savi vengono catturati insieme ai loro complici. Confessano, poi ritrattano. Al termine di quattro processi i Tribunali di Rimini, Pesaro e Bologna li condannano all’ergastolo il 6 marzo 1996.