Piacenza, uno dei carabini scoprì l'indagine dalle microspie nell'auto Piacenza, uno dei carabini scoprì l'indagine dalle microspie nell'auto

Piacenza, uno dei carabinieri (il leader) scoprì l’indagine dalle microspie nell’auto

L’appuntato al comando del gruppo dei carabinieri arrestati a Piacenza, aveva capito tutto. Sapeva che la Guardia di Finanza gli stava dietro.

Come riporta La Repubblica, il carabiniere al comando del gruppo dei militari della caserma di Piacenza arrestati, “sapeva che conoscevano i suoi traffici di sostanze stupefacenti da Milano a Piacenza, in accordo con due fratelli anche loro finiti in manette”.

Il ragazzo, anche lui arrestato, è un carrozziere. Al quale il carabiniere aveva portato la sua nuova Audi per alcune riparazioni. “Era bianco pallido, non respirava più” dice alla fidanzata il carrozziere. Proprio durante le riparazioni dell’auto, il carrozziere scopre  una microspia installata dalla Guardia di Finanza nei bocchettoni dell’aria condizionata. E lo dice al carabiniere. “Era bianco pallido, non respirava più” dice alla fidanzata il carrozziere.

Al momento l’appuntato crede che sia finito sotto inchiesta per colpa del fratello del carrozziere, colui che gestisce il traffico illecito. E così lo minaccia: “Lo ammazzo”. Il carabiniere fa bonificare tutte le altre auto che usa e anche quelle degli amici. Ci sono microspie ovunque. Allora decide di convocare i suoi pusher informatori per avvisarli di quello che potrebbe accadere. Ma secondo quanto riportato dai pm nelle nuove carte dell’inchiesta, la richiesta di custodia cautelare, “tutta la preoccupazione del carabiniere non era l’essere potenzialmente sottoposto ad indagini ma il blocco dell’approvvigionamento di sostanza stupefacente dal fratello del carrozziere e, di conseguenza, i mancati introiti”. 

Gli interrogatori

Sono ripresi nel carcere ‘Le Novate’ di Piacenza gli interrogatori di garanzia dei carabinieri arrestati mercoledì nell’ambito dell’inchiesta della procura della città emiliana che ha scoperchiato una serie di reati commessi dai militari della città emiliana.

L’interrogatorio più atteso è quello di un appuntato, considerato dagli inquirenti e investigatori al vertice della piramide di quel sistema criminale che era stato messo in piedi nella stazione dei carabinieri. Un personaggio che, dice il gip nell’ordinanza, era convinto di poter tenere “qualunque tipo di comportamento, vivendo al di sopra della legge e di ogni regola di convivenza civile”.

Non è così però secondo il suo avvocato che, arrivando in carcere, non ha escluso la possibilità che il suo assistito possa rispondere al Gip. “Probabilmente risponderà alle domande – ha detto ai cronisti – è molto provato”.

Dopo il leader del gruppo dei carabinieri arrestati, davanti al Gip compariranno il militare che il giudice definisce “l’elemento più violento della banda di criminali”, e il carabiniere che appare in una foto con l’appuntato e due presunti spacciatori mentre tengono in mano mazzette di soldi. I due erano soliti ricompensare gli spacciatori che fornivano informazioni, ha scritto tra l’altro il giudice nell’ordinanza, con della droga che era custodita in caserma, in un contenitore chiamato “scatola della terapia”.

“Il mio assistito – ha detto l’avvocato di uno dei carabinieri che saranno interrogati – ha partecipato agli arresti ma non sapeva nulla di quello che c’era dietro”. 

Carabiniere: “Ma quale Gomorra. I soldi vincita al Gratta e Vinci”

La foto con i soldi in mano accanto a due spacciatori? “Una vincita al gratta e vinci 5 anni fa”. Il nigeriano pestato? “Nessuna violenza. È caduto durante l’inseguimento”. Ha respinto ogni accusa uno dei carabinieri arrestati dalla procura di Piacenza e parte di quel che la procura ha definito un sistema criminale all’interno della caserma della vergogna.

Il militare, ha spiegato al termine dell’interrogatorio davanti al Gip il suo avvocato, “ha risposto a tutte le domande e ha fornito tutte le delucidazioni sugli episodi che lo riguardano. Lui ha un tenore di vita normalissimo e nessun indizio che lo colleghi alla droga. È molto provato”. Secondo l’avvocato, dunque, è estraneo a ogni addebito. La foto nella quale mostra delle mazzette di denaro e i due fratelli (entrambi arrestati), “non ha nulla a che vedere con Gomorra. Viene dai social – dice l’avvocato – è del 2016, era su Facebook con tanto di commenti ed è il frutto di una vincita al gratta e vinci”.

Quanto alla vicenda delle presunte torture subite da uno spacciatore egiziano in cui il militare dell’Arma dice che i suoi due colleghi devono fare il “poliziotto buono e il poliziotto cattivo”, il legale nega le violenze e aggiunge. “Non si può condannare una persona per una battuta, le cose vanno contestualizzate”. E come? “E’ estraneo ad ogni violenza e alle ipotesi di spaccio – il nigeriano non è stato picchiato in sua presenza, è stata una spacconata dell’appuntato dire che lo avevano massacrato di botte, in realtà è caduto durante l’inseguimento”.

L’avvocato non può però negare la partecipazione del suo assistito agli arresti. “Ha partecipato alle operazioni nel momento in cui venivano pianificate ma non sapeva cosa c’era a monte”. Insomma, non si sarebbe accorto di nulla. (fonti REPUBBLICA, ANSA)

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