Piacenza, Ilaria Cucchi sui carabinieri arrestati: "Non si parli di mele marce. Il problema è nel sistema" Piacenza, Ilaria Cucchi sui carabinieri arrestati: "Non si parli di mele marce. Il problema è nel sistema"

Piacenza, Ilaria Cucchi sui carabinieri arrestati: “Non si parli di mele marce. Il problema è nel sistema”

“Basta parlare di singole mele marce, i casi stanno diventando troppi”: così Ilaria Cucchi commenta l’indagine su alcuni carabinieri di Piacenza accusati di traffico di droga, estorsioni e tortura.

“Un fatto enorme e gravissimo che ricorda la vicenda di mio fratello Stefano. Bisogna andare fino in fondo”, ha aggiunto Cucchi sulla vicenda della caserma di Piacenza. “Non si facciano sconti a nessuno come hanno dimostrato magistrati coraggiosi nell’indagine sulla morte di Stefano”, ha chiesto la sorella di Stefano Cucchi.

“Basta parlare di singole mele marce, i casi stanno diventando troppi. Il problema è nel sistema. Mi vengono in mente i tanti carabinieri del nostro processo che vengono a testimoniare contro i loro superiori. Mi chiedo con quale spirito lo facciano quando poi spuntano comunicati dell’Arma subito dopo la testimonianza come nel caso del loro collega Casamassima”, ha aggiunto Cucchi. 

L’inchiesta sui carabinieri di Piacenza

Sono cinque i capi di imputazione nei confronti dei carabinieri di Piacenza arrestati il 22 luglio con l’accusa di lesioni, sequestro di persona e tortura.

I “gravi indizi” sussistono in particolare per la contestazione del reato di tortura. “In quanto – scrive il giudice – la persona nei cui confronti sono state compiute le condotte illecite si trovava in una condizione di privazione della propria libertà personale”.

A colpire la vittima sarebbe stato solo uno dei carabinieri. Ma, aggiunge il Gip, “non può essere escluso il contributo attivo fornito da tutti gli indagati”.

Questi, prosegue il gip, “erano intenti o a suggerire particolari tecniche di persuasione o comunque ad assistere ad un fatto di estrema violenza che mai dovrebbe verificarsi all’interno di un ufficio di pubblica sicurezza”.

Non solo: “E’ indubitabile come, ascoltando i suoni dei colpi assestati e, soprattutto, dei lamenti e del pianto della vittima, quest’ultima abbia provato ‘acute sofferenze fisiche’ sufficienti” a poter configurare il reato di tortura. (Fonte: Ansa)

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