ROMA – La caccia al mostro che uccise Simonetta Cesaroni, con 29 coltellate al petto e al basso ventre un pomeriggio d’estate di 24 anni fa, riparte dalle macchie di sangue lasciate dal carnefice e dalla sua vittima:
del gruppo A positivo di provenienza maschile con genotipo 1.1/4;
del gruppo A con genotipo 4.4 da cui non fu possibile risalire al sesso;
del gruppo 0, probabilmente il sangue di Simonetta.
Simonetta Cesaroni aveva 21 anni. Fu uccisa il 7 agosto 1990 in un appartamento di via Poma a Roma.
L’inchiesta è tornata alla casella di partenza dopo che la Corte di Cassazione, il 25 febbraio 2014, ha stabilito in modo definitivo l’estraneità di Raniero Busco nell’omicidio dell’ex fidanzata Simonetta Cesaroni. Per lui l’incubo è finito, ma il “mostro” è ancora libero.
Tenteremo, quindi, di rileggere alcuni elementi, ancora indecifrabili, di questo omicidio senza colpevole.
La scena del crimine non c’è più. Dopo 24 anni l’appartamento ha subito svariate ristrutturazioni e nessuna traccia è più riscontrabile. Esistono però le relazioni della polizia scientifica, dei patologi e le consulenze tecniche affidate nel corso del tempo dalla Procura della Repubblica di Roma.
Inizieremo dal sangue. I reperti sui quali vennero identificati campioni biologici furono molteplici, ma quelli rilevanti sono quattro:
1. le tracce ematiche ritrovate sulla porta all’interno dello studio di Corrado Carboni, la stanza dove venne ritrovato il corpo di Simonetta, e
2. quelle trovate sul lato esterno della stessa porta;
2. le tracce sul telefono;
3. quelle sullo specchio dell’ascensore dello stabile.
Sul lato interno della porta, verso sinistra, c’erano quattro imbrattamenti piuttosto grandi. Li vide per primo il fidanzato di Paola Cesaroni, sorella di Simonetta e li definì ancora vividi. I primi risultati ottenuti rivelarono il gruppo sanguigno. Pollo Poesio e Dalla Piccola, i due consulenti incaricati, non ebbero dubbi: per loro quello era sangue di gruppo A.
Una ulteriore perizia venne affidata ai professori Fiori, Pascali e Destro Bisol. L’analisi confermò il gruppo A, aggiungendo che si trattava di A positivo e stabilendo una appartenenza maschile. La perizia, attraverso un sistema di marcatori genetici, non più in uso da oltre 15 anni, che si chiamava dQ Alfa, una sorta di precursore delle moderne tecniche di individuazione del DNA, concluse che quel sangue apparteneva ad un soggetto maschile di gruppo A con genotipo 1.1/4.
Il genotipo già allora escludeva Raniero Busco.
Sul lato esterno della porta venne repertata una traccia poi rivelatasi di gruppo 0, compatibile con il sangue della vittima. Questa traccia ha una storia complessa e, prossimamente, la racconteremo a parte.
Anche la traccia ematica rinvenuta sul telefono venne analizzata da Fiori, Pascali e Destro Bisol nel 1991, si rivelò di gruppo A. Successivamente, nel corso di un’altra consulenza, Dalla Piccola e Spinella riuscirono ad identificarne il genotipo, che si rivelò 4.4. Il sesso del campione restò però sconosciuto.
Sullo specchio dell’ascensore dello stabile furono rinvenuti due tipi di imbrattamenti ematici, repertati in seguito come numero 1 e numero 2. Una prima consulenza tecnica, eseguita da Dalla Piccola e Spinella solo sulla traccia 2, la identificò come sangue umano di gruppo O compatibile con la vittima. I marcatori genetici confermarono, con una probabilità del 99.53% che si trattava del sangue di Simonetta. La traccia numero 1 vene analizzata in laboratorio a distanza di 15 anni dai fatti, nel 2005. La consulenza ottenne un profilo maschile, non attribuibile ai soggetti che i consulenti tecnici avevano a disposizione per il raffronto.
Riepilogando: due tracce di gruppo A, una sul lato interno della porta dello studio di Corrado Carboni, l’altra sul telefono, appartenenti a soggetti probabilmente diversi e una traccia, della quale non è mai stato stabilito il gruppo, sullo specchio dell’ascensore. Accanto a queste, sangue della vittima sul lato esterno e ancora sullo specchio dell’ascensore.
Chi riuscirà a ricomporre il puzzle del sangue, ovvero a stabilire come e perché le varie tracce ematiche vennero lasciate, avrà il nome dell’assassino.
Igor Patruno ha seguito l’omicidio di via Poma fin dall’inizio e ha pubblicato due libri sull’argomento: “La ragazza con l’ombrellino rosa” e “Via Poma”.
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