Porto Marghera, gli operai della Vinyls aspettano ancora il lavoro

Pubblicato il 12 Gennaio 2011 - 05:49 OLTRE 6 MESI FA

Passi avanti importanti, ma non ancora sufficienti. È questa la posizione dei lavoratori dello stabilimento di Porto Marghera della Vinyls, industria chimica che fa capo all’Eni i cui dipendenti, da due anni in cassa integrazione, si erano arrampicati lo scorso novembre 2010 per protesta sulla ciminiera dell’azienda, posta a 140 metri di altezza, per sollecitare un accordo definitivo per la cessione dell’attività.

Tregua. Una manifestazione estrema che si è interrotta negli ultimi giorni dell’anno alla notizia della firma di un accordo preliminare tra l’azienda e il fondo d’investimento GITA, pronto a un investimento di 265 milioni di euro, 100 dei quali per Marghera. Una tappa importante, come ha sottolineato il Ministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romani, perché riattivare la Vinyls «significa ripartire con la chimica in Italia». Romani ha assicurato che la partita sarà chiusa entro il 10 marzo, smentendo così il collega di governo Renato Brunetta, Ministro della Pubblica Amministrazione ed ex candidato sindaco per la città lagunare che aveva sottolineato come non ci fosse più futuro per la chimica in questa zona del paese.

Attesa. Schermaglie politiche che non interessano gli operai, come sottolinea Riccardo Colletti, segretario generale della Filctem Cgil veneziana: «Qualcuno sta usando questa questione come spot elettorale, ma ciò non ci riguarda. Noi vogliamo solo la restituzione dei posti di lavoro». Colletti giudica positive le ultime novità, ma aspetta di vedere risultati concreti: «Per ripartire davvero occorre attivare fin da ora delle procedure tecniche per rimettere in moto gli impianti. Se ciò non accadrà entro fine gennaio siamo pronti a riprendere a manifestare. Non aspetteremo marzo». Uno scetticismo dettato dalle troppe promesse disattese in passato: «L’Eni ha già fatto fallire due trattative di questo tipo. Se vuole abbandonare la chimica faccia pure, ma deve consentire ad altri di acquistare gli asset per proseguire l’attività».

Responsabilità. Una crisi non finanziaria, prosegue Colletti, ma politica: «Si sono chiuse delle aziende che avrebbero potuto continuare a lavorare perché qualcuno ritiene che questa zona debba puntare solo sul turismo, ignorando il problema di una disoccupazione che ha raggiunto punte del 16 per cento». Scelte da combattere, ma contro le quali il sindacato non può farcela da solo: «Occorre un impegno forte della politica e degli altri attori coinvolti. Difendere un settore fondamentale come la chimica vuol dire salvaguardare il futuro dell’Italia. L’hanno capito anche tanti di quei finti ambientalisti che negli anni scorsi ci combattevano». E se anche questa volta la vertenza non troverà una reale soluzione, gli operai sono pronti a ogni forma di contestazione: «Siamo scesi dalla ciminiera, ma quello è soltanto un discorso sospeso. Se servirà, risaliremo».

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