Posti a tavola a ristorante, si annuncia niente meno mediazione tra le forze del tutto aperto e quelle del sempre qualcosa almeno chiuso. Posti a tavola liberi di crescere di numero se il tavolo è all’aperto, quattro soli posti tutti insieme se il tavolo è al chiuso. Un cessate il fuoco tra i due eserciti un po’ imposto e un po’ subito dal governo, non ancora un trattato di pace ma la creazione di una sorta di zona demilitarizzata intorno al tovagliolo.
Una tappa, forse una svolta nell’epica guerra della sedia rapita. In questa vicenda dei posti a tavola che sarebbe ridicola se non fosse commiserevole agiscono vizi potenti della vita pubblica italiana: la parossistica pulsione alla norma, la voluta ignoranza di massa della norma, l’attività politica intesa e praticata come sceneggiata, l’incapacità ormai congenita da parte del ceto politico, dei mass media e della pubblica opinione organizzata e militante di aver contatti ravvicinati con la realtà.
Posti a tavola: norma inutile
Basta esserci andati in un ristorante durante tutta la scorsa estate: c’era la norma anti tavolate e c’erano le tavolate. Punto. Nessuno rispettò nulla perché si volle credere Covid morto d’estate. Ora una cittadinanza resa consapevole da un anno e passa di Covid vivo non dovrebbe aver bisogno di una norma che prescriva in quanti ci si siede allo stesso tavolo e quindi si respira ravvicinati e senza mascherina. Dovrebbe essere ovvio e spontaneo comportamento di chi va a ristorante evitare la tavolata almeno al chiuso. E dovrebbe essere ovvio e spontaneo il predisporre da parte dei gestori tavoli di conseguenza. Se così non è, se chi va e chi gestisce si ficca o favorisce la tavolata allora non c’è norma che tenga. Infatti nella realtà ognuno fa come gli pare: il coscienzioso con coscienza, l’irresponsabile con irresponsabilità.
L’Opera dei pupi
Le marionette, ciascuno con il suo ruolo fisso, ecco cosa fa quotidianamente il ceto politico: l’Opera dei pupi. Che schieramenti politici possano coagularsi intorno a quattro posti, no sei al tavolo al ristorante è un’offesa alla politica, dovunque essa si sia rifugiata per sfuggire all’oltraggio. Che giornali e notiziari tv debbano titolare ansiosi su quale sarà o non sarà il numero dei coperti è auto immiserirsi della comunicazione. E ancora che organizzazioni di categoria chiamino in causa niente meno che la “dignità del loro lavoro” è copione da commedia triste e trista.
E infine…l’Italia non è un ristorante
Se si rapportasse la quantità di interventi politici, prese di posizioni, dibattiti, articoli di giornale, spazi televisivi e provvedimenti legislativi relativi alla ristorazione con la quantità di Pil o aziende o occupati nella ristorazione, la sproporzione sarebbe macroscopica. Ristoranti e affini sono parte notevole importante e rispettabile dell’economia e del modo di vivere, fanno qualità della vita. Ma non sono la vita e il paese come pure sembra da mesi. Si è appena finito di regalare di fatto ai ristoranti parti non indifferenti del suolo pubblico delle città perché mettessero i tavoli all’aperto.
Non poco come donazione di bene pubblico, anzi moltissimo perché quei pezzi di città oggi occupati in via provvisoria sono già attrezzati per restarlo occupati per sempre. Il cosiddetto coprifuoco sta per svanire, io giro d’affari è ripartito, loro stessi dichiarano di non trovare cuochi e camerieri, io ristorante Italia riceve giustamente ristori dio ogni genere. Sarebbe ora di togliere la lacrima dal menù.