Presidi in sciopero fame e sete dicono basta all’esilio. Africa, Asia? No, il “Settentrione”.

Presidi, presidi di istituti scolastici, presidi di scuola, denominazione ufficiale: dirigenti scolastici. Da loro o meglio da 132 di loro una lettera che hanno voluto e resa pubblica. Eccola sia pur per sommi capi ma senza perdere un’oncia del suo pathos. “Partimmo con carica di energia e passione…giungemmo in terre diverse…vivemmo in sospensione umana trafiggente…”. Tre anni, tre lunghissimi anni.

Missionari, esploratori, deportati, dimenticati

Dove questi tre lunghissimi anni vissuti “in sospensione umana trafiggente”? Quali le “terre diverse” raggiunte con spirito missionari e audacia da esploratori? Quale il supplizio, se non la morte civile imposta a questi lavoratori della conoscenza? Cittadine che punteggiano la savana africana? Metropoli caotiche e insalubri dell’Asia sud-orientale? Stazioni carovaniere dell’Asia centrale? Laghi e fiumi di ghiaccio di qualche grande Nord tipo Siberia o Alaska?

No, la terra diversa e lontana che comporta “trafiggente sospensione umana” a questi migranti forzati è niente meno che il “Settentrione” come lo chiamano nell’accorata lettera di denuncia-protesta. Settentrione…terre aliene dove, si sa, la sopravvivenza è ardua per le genti del “Meridione”. Già, perché i presidi della lettera sono tutti partiti per terre assai lontane come la Lombardia, il Veneto, la Liguria, il Piemonte…Qualcuno addirittura sbattuto-sbarcato in Friuli! Luoghi dove notoriamente la vita si tira con i denti, distanze alienanti, terre aliene per chi è nato al Sud d’Italia. 

Coraggio impavido ma ora basta!

I presidi deportati e da tre anni in esilio nel gelido e inospitale “Settentrione” ora dicono basta! Sono partiti tre anni fa, più o meno, quando, se non sono stati ingannati, poco ci manca secondo il loro sentire. Circa tre anni fa sono stati assunti dallo Stato italiano. Erano convinto di aver fatto un patto: tu Stato mi dai posto fisso e stipendio, io ti do un annetto o due di presenza dove ti serve, poi però tu Stato mi mandi dove serve a me, a casa, al Sud. Sono partiti con impavido coraggio per affrontare niente meno che il “Settentrione” e ora si sentono traditi. Non ce la fanno più a restare nel lager emotivo del posto di lavoro nel Nord Italia e minacciano sciopero della fame e della sete, proprio come fanno i deportati all’ultimo stadio della disperazione. 

Rinunciare al sogno, mai!

Scrivono di non “voler rinunciare al sogno”. Quale sogno? Di insegnare alle “loro genti”. Con tutta evidenza le genti del “settentrione” non sono funzionali a questo sogno vocazionale. E quindi i presidi prigionieri nel lager Settentrione avanzano una modesta richiesta, molto altruista anche nei confronti delle “loro genti”. Chiedono che tutti i posti di lavoro nella scuole del Sud non vengano “resi saturi” magari mediante concorsi, insomma non vengano occupati magari da altri meridionali, vengano invece in una certa percentuale riservati a loro, al loro rientro in patria. Quale percentuale, visto che oggi quella prevista dallo Stato malvagio e carceriere è del 30 per cento? I presidi della lettera chiedono un modesto incremento della percentuale dei posti per loro al Sud: dal 30 al 100 per cento. Tutti e così non ci si pensa più.

Maestri di…

Dalla lettera, dal linguaggio, dagli argomenti, dallo spirito e dai valori espressi nella lettera dei 132 dirigenti scolastici (presidi) che si proclamano prigionieri dello Stato al settentrione si evince che sono stati, sono e presumibilmente saranno maestri per le generazioni di studenti che contribuiranno a formare. Di certo maestri di enfasi. Non enfasi semplice, proprio quella declamatoria e “ammuinante” (al sud comprenderanno bene il termine) da talk-show (la “sospensione umana trafiggente”, le “terre diverse”, soprattutto lo sciopero della fame e della sete che non faranno mai davvero). Maestri di vittimismo: gli anni di lavoro fuori sede equiparati a sciagura, esilio, deportazione, condanna. Maestri di “prima io”.

Rispetto ad altri conterranei che volessero vincere, non sia mai, un concorso per qualche posto da preside al Sud. Ma soprattutto rispetto a quell’accessorio marginale quando si parla di sogno, diritti, scuola: gli studenti. Cambiare insegnante o preside ogni sei mesi se capita per loro ci sta. Il dirigente scolastico, il prof, il lavoratore della conoscenza deve poter tornare a casa, al Sud, è questo il diritto primo e fondamentale. La scuola è di chi e per chi ci lavora, di chi altri e per chi altri se no? Maestri quindi e soprattutto civili esempi di ignoranza, ignoranza dell’altro, irrilevanza del prossimo, in questo caso gli studenti.

Ma in fondo…i 132 della lettera e i non pochi prof e aspiranti prof il cui cuore batte dalla parte dei loro argomenti non sono rara avis, eccezione, fenomeno fuori standard sociale. Tutt’altro: la riduzione dell’essere cittadino al perimetro dei propri bisogni sempre in quanto tali promossi a diritti e la qualificazione di ogni dovere come intollerabile oppressione sono i tratti comuni e diffusi, anzi ormai identitari dei “cittadini”.

Gestione cookie