La ‘prova di coraggio’ dei giovani in un bar di Pesaro: darsi fuoco alle braccia

Non ha un nome in codice ma si sarebbe potuta tranquillamente chiamare ‘Operazione Scevola’. E’ quella che ha visto protagonisti un gruppetto di ragazzi e il barman e il gestore del bar ‘Onda anomala’ di Pesaro, che ”per gioco” – così si sono giustificati – si sono fatti spruzzare, i primi, del liquido infiammabile sulle braccia, mentre i secondi avrebbero dato fuoco con un accendino. Il senso della cosa? Una prova di coraggio, peraltro immortalata in un video.

Il fatto risale ai primi di luglio, ma solo oggi la questura l’ha resa pubblica in una conferenza stampa tenuta dal questore Italo D’Angelo. A scoprire quello che era successo è stata la Squadra Mobile, diretta da Andrea Zeloni, dopo che un diciannovenne aveva dovuto far ricorso alle cure dei medici per ustioni di primo e secondo grado al braccio destro.

Durante una festa di compleanno organizzata nel locale, il ragazzo si era lasciato spruzzare sul braccio del liquido infiammabile, di quelli utilizzati per il flambé, contenuto in una bomboletta spray. Per provare una sensazione di fresco (questa la motivazione, almeno per la prima parte della spruzzata), seguita poi da quella certo meno piacevole della carne bruciata. Il ragazzo era subito corso in farmacia, e da qui al pronto soccorso.

Nel frattempo altri tre giovani avventori, di cui uno minorenne, elettrizzati dal nuovo gioco, si sono fatti spruzzare il liquido appiccandosi il fuoco l’uno con l’altro, come si vede chiaramente nel video, girato con il telefonino da uno dei presenti.

Nessuno ha presentato denuncia contro il barman, di 45 anni, e il gestore del locale, Simone Baldelli, 35 anni, romano, che comunque sono stati denunciati alla procura della Repubblica per lesioni personali con insidia e per accensioni pericolose. Al locale è stata sospesa la licenza per una settimana. Il gestore si sarebbe giustificato dicendo che si era trattato di uno scherzo innocuo. Escluse scommesse o altro.

D’Angelo ha stigmatizzato la condotta ”sconsiderata del gestore di un pubblico esercizio”, tenuto a tutelare ”la sicurezza dei giovani e giovanissimi che spesso non si rendono conto della gravità di taluni comportamenti e delle loro possibili conseguenze, sottoponendosi a sfide che più di coraggio sono da considerarsi dimostrazioni di immaturità e superficialità”.

La presidente della Federazione italiana psicologi, Vera Slepoj, offre una lettura della vicenda in chiave di rituale ”adrenalinico”: le cosiddette prove di coraggio ”rientrano in genere in una tendenza a ritualizzare la radice antropologica dei riti di passaggio. Riti che avvenivano anche nelle società primitive”. ”I rituali ci appartengono. E i rituali di gruppo servono a stabilire due priorità: nelle prove di coraggio valgono a essere riconosciuti come adulti, quindi ai ragazzini per entrare nel gruppo degli adulti”.

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