Raffaello Bucci: “Io morto che cammina”. Suicida? Ultime ore: cercava aiuto

Raffaello Bucci: ultras, 007 e 'ndrangheta. Le ultime ore del "morto che cammina"
Raffaello Bucci: ultras, 007 e ‘ndrangheta. Le ultime ore del “morto che cammina”

TORINO – Era molto agitato. Sentiva il bisogno di parlare. Aveva paura. Ma cosa aveva da dire Raffaello Bucci? Perchè era così spaventato? Sembra un poliziesco italiano anni ’70 ma questa volta il finale potremmo non saperlo mai.

Quello del capo ultrà Juve e informatore dei servizi segreti è un suicidio misterioso, di quelli che avvengono non tanto in circostanze strane, ma in contesti e tempistiche che portano a pensare che ci sia qualcosa di insolito dietro il drammatico gesto. Precipitato da un viadotto, un suicidio, ma non il “solito” suicidio. Insomma per farla breve, si è tolto la vita oppure gliel’hanno tolta? O ancora la verità sta in una sorta di “mondo di mezzo” dove qualcuno o qualcosa lo ha spinto e di fatto costretto a suicidarsi?

Per capire bene, ma per ora non a fondo, questa vicenda che ha come interpreti e scenari ultras, ‘ndrangheta, Juventus, Digos e servizi segreti, occorre partire dal giorno prima della morte di Raffaele, soprannominato “Ciccio”.

Il 6 luglio 2016, il giorno prima di morire, Raffaello Bucci “sentiva il bisogno di parlare” con un commissario della Digos di Torino che conosceva da tempo, ma Raffaello non prese mai contatto con lui, almeno stando a una informativa interna della stessa Digos. Il documento è dell’8 luglio 2016, ventiquattro ore dopo il decesso dell’ultras della Juventus. Alle ore 19 del 6 luglio un avvocato dello studio legale torinese che segue la Juventus andò a far visita in Questura al commissario della Digos, spiegandogli che Bucci “era sembrato molto agitato e preoccupato”.

Nella mattinata sempre del 6 luglio Bucci infatti era stato interrogato come persona informata sui fatti. Ma quali fatti? Da quello che emerge dalla testimonianze di chi conosceva bene “Ciccio”, i fatti sono due.

Il primo è che Bucci faceva soldi, in modo illecito, con i biglietti delle partite della Juventus, così come altri personaggi. E questo è il cuore dell’indagine che vede iscritti per il reato di 416 bis Saverio e Rocco Dominello, padre e figlio, quest’ultimo leader dei Drughi di Montanaro. Saverio Dominello stesso, che ha ammesso di essere stato ‘ndranghetista, aveva confermato la sussistenza di affari in curva e di aver protetto, con la forza del suo nome da boss, il figlio da conflitti.

Il secondo fatto assodato è che “Ciccio” aveva a che fare con personaggi pericolosi, tra cui uomini vicini alle ‘ndrine. Lo confermano una relazione della Digos in cui viene spiegato molto bene come la ‘ndrangheta abbia gestito conflitti interni alle tifoserie per ottenere la pace sociale interna alla curva, pace a sua volta finalizzata agli ingenti guadagni ottenuti con la compravendita dei biglietti. E lo confermano vari testimoni dell’indagine, tra cui un collaboratore dei servizi che sostiene che Bucci sarebbe stato consapevole del fatto che la ‘ndrangheta avrebbe cercato di infiltrarsi nel gruppo ultrà dei Gobbi già dal 2013. E che ci sarebbe stato l’interessamento direttamente da parte della famiglia Ursini, molto nota per il calibro criminale.

Una volta immersi nello scenario possiamo tornare a Bucci. Sì, perché in questa storia c’è un passaggio che manca, o meglio, una conferma. Forse, i soggetti pericolosi della ‘ndrangheta e i membri della curva che facevano soldi coi biglietti, sono la stessa cosa. “Lo hanno ucciso quelli della vecchia gestione della curva, che ce l’avevano con lui”, dice un testimone molto vicino a Bucci. “Mi sono fidato della persona sbagliata”, dice “Ciccio” a un amico. Persona sbagliata? Affari allo stadio? Cosa ha scoperto Bucci durante quell’interrogatorio il giorno prima di morire? Che qualche manovra illecita da lui commessa era stata scoperta? Sui biglietti e il bagarinaggio, Bucci dopo l’audizione aveva confidato all’amico: “Sono un coglione, ho detto troppo”.

Poi la morte. Con tanti misteri. Bucci è precipitato da un viadotto dell’autostrada Torino-Savona a Fossano, nel Cuneese. Ma nella sua auto c’è qualcosa che non torna. Per prima cosa il borsello. “Non se ne separava mai. Ma quando è morto gli investigatori non l’hanno ritrovato nella sua auto – dice l’avvocato che assiste l’ex di Bucci, Gabriella – A lei è stato consegnato da Alessandro D’Angelo, security manager della Juventus che ha detto di averlo trovato nella macchina. Un’incongruenza che bisognerebbe spiegare”. Cosa c’era in quel borsello? Qualcuno ha fatto sparire qualcosa? Ma soprattutto la domanda che in molti si fanno è: ma Bucci, su quel viadotto, era da solo? In una telefonata intercettata, una teste dice: “C’è un pezzo di sopracciglio e sangue sugli occhiali di Ciccio. Qualcuno lo ha picchiato da morire”.

Come se già non fosse ancora abbastanza misteriosa, a questa storia si aggiunge un dettaglio che sembra uscito da un romanzo di spionaggio. La mattina del 7 luglio, quella della morte di “Ciccio”, per poche ore, quelle che precedettero la “caduta” giù dal ponte, il server della procura usato per le intercettazioni ha subito un black out, tanto che nessuno ha mai saputo quali furono le ultime telefonate di Bucci. Un fatto casuale o di una certa rilevanza? Nessuno lo saprà mai, come nessuno saprà mai se lo 007-ultrà-informatore-drugo si sia ucciso o sia stato ucciso. C’è una frase che “Ciccio”, uscito dalla procura dopo l’interrogatorio, ripeteva con angoscia: “Sono un morto che cammina”.

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