PESCARA – Ci sarebbe una telefonata sparita dal brogliaccio delle segnalazioni del 18 gennaio 2017, il giorno della tragedia all’hotel Rigopiano di Farindola (Pescara) costata la vita a 29 persone. Su questo indaga la Procura di Pescara che ha aperto un nuovo fascicolo e notificato 7 avvisi di garanzia, ipotizzando il reato di frode in processo penale e depistaggio a carico del personale della Prefettura di Pescara. Tra gli indagati c’è anche l’ex prefetto Francesco Provolo.
L’accusa è di aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni alla Mobile di Pescara per nascondere la chiamata di soccorso fatta alle 11.38 dal cameriere Gabriele D’Angelo, poi deceduto nella valanga, al centro coordinamento soccorsi. L’indagine è del Procuratore Capo di Pescara Massimiliano Serpi e del pm Andrea Papalia, con i Carabinieri Forestali del tenente colonnello Annamaria Angelozzi. Tra gli indagati anche i due viceprefetti distaccati Salvatore Angieri, ora a Macerata, e Sergio Mazzia, adesso a Crotone. Con loro i dirigenti Ida De Cesaris, Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo e Daniela Acquaviva.
I Carabinieri Forestali di Pescara stavano indagando su tale vicenda già da un anno dopo l’acquisizione di un’inedita conversazione avvenuta tra un carabiniere della sala operativa di Pescara e la funzionaria della prefettura Daniela Acquaviva, balzata a suo tempo alle cronache per la telefonata in cui diceva “la mamma degli imbecilli è sempre incinta”. In quella conversazione disse al carabiniere che l’intervento su Rigopiano era stato fatto in mattinata riferendosi proprio alla telefonata pervenuta da Gabriele D’Angelo.
E’ ipotizzabile che D’Angelo abbia chiesto l’evacuazione della struttura dopo le scosse di terremoto che avevano interessato la zona. D’Angelo aveva chiamato anche il Coc di Penne (Pescara) sempre in mattinata per chiedere in pratica le stesse cose, e il suo nome risulta sul brogliaccio della postazione: di questa telefonata aveva parlato un servizio di Rai Regione ai primi di novembre. Ma prima delle nuove verifiche sui tabulati in uscita delle telefonate dei cellulari della conversazione tra D’Angelo e la Prefettura non c’era notizia.
A mettere gli investigatori sulla traccia giusta c’è, agli atti della prima indagine, quella che ha portato ai 25 indagati, una telefonata tra i carabinieri e la Prefettura delle ore 18.09 del 18 gennaio 2017, quindi almeno un’ora e venti dopo la valanga. Il carabiniere di servizio riferisce di aver ricevuto una telefonata di Quintino Marcella: quest’ultimo è il proprietario del ristorante di Silvi dove lavorava Giampiero Parete, scampato alla tragedia con la famiglia. Il ristoratore disse ai carabinieri che Parete gli aveva riferito della valanga. Ma la telefonata non era stata ritenuta attendibile.
Lapidario Francesco, il fratello gemello di Gabriele D’Angelo: “Abbiamo fatto noi un esposto perché non ci risultavano le telefonate in uscita, mentre sapevo che Gabriele aveva chiamato mia madre. Ci sentiamo male: perché la Prefettura ha nascosto questa telefonata? Perché sanno che li potevano salvare, Gabriele li aveva avvertiti del pericolo”.
Un plauso per il lavoro svolto dalla Procura è arrivato dal legale della famiglia D’Angelo, Emanuela Rosa che conferma l’esposto: “Le indagini e gli interrogatori successivi alla mia istanza ed al servizio giornalistico andato in onda nel corso del Tgr Rai Abruzzo hanno consentito la scoperta della seconda telefonata di Gabriele D’Angelo al centralino della Prefettura. È fondamentale accertare eventuali responsabilità sulla mancata valutazione delle richieste di aiuto di Gabriele D’Angelo che, qualora ascoltate, avrebbero potuto cambiare l’esito degli eventi”.