ROMA – Non si dà pace il padre di Stefano Feniello, una delle 29 vittime nel disastro dell’hotel Rigopiano di Farindola, in provincia di Pescara. Stefano è uno dei giovani morti nella valanga che ha travolto il 18 gennaio 2017 l’hotel in cui alloggiava. Dopo che la sera del 3 dicembre il gip ha disposto l’archiviazione per 22 indagati, papà Alessio si sfoga: “Stefano è stato ucciso due volte e fino a oggi sono stato solo io a pagare per aver portato i fiori sulla sua tomba“.
Feniello infatti lo scorso gennaio era stato condannato al pagamento di una sanzione di 4550 euro per aver violato i sigilli giudiziari posti all’hotel Rigopiano dopo la tragedia con l’intento di portare un mazzo di fiori nel luogo in cui il figlio era morto. Il papà di Stefano ha dichiarato: “L’unico a pagare, fino a oggi, sono io per aver portato i fiori a Stefano, e sto affrontando un processo per questo”.
Stefano era al resort con la fidanzata Francesca Bronzi, scampata alla tragedia, per festeggiare il compleanno. Durante i soccorsi, il suo nome fu inserito dalla Prefettura in un elenco di nomi di cinque superstiti che sarebbero arrivati a breve in ospedale. Per giorni i genitori lo attesero, con la speranza di poterlo riabbracciare ogni volta che un’ambulanza entrava in pronto soccorso. Ma si era trattato solo di un errore: di Stefano, in ospedale, arrivò solo il corpo.
Sottolineando di essere l’unico a pagare, Alessio Feniello afferma che “chi mi ha detto che mio figlio era vivo, facendomi illudere per quattro giorni che sarebbe tornato a casa no, perché l’ha fatto a fin di bene. Io invece i fiori a mio figlio perché li ho portati? Per fare del male a qualcuno? Ma ce l’avete una coscienza? Sono schifato – afferma – Qualcuno deve spiegarmi come è possibile che a pagare siano sempre e solo i poveracci, mentre chi sta al potere può stare tranquillo, sbagliare, uccidere, e rimanere al proprio posto”.
“Alla fine la colpa sarà di chi stava in hotel, di chi lavorava a Rigopiano e di chi c’è andato in vacanza – prosegue amareggiato – Il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione nei confronti dei funzionari della Regione e dei personaggi che ci hanno fatto credere che Stefano era vivo, uccidendolo due volte. L’archiviazione è un colpo che fa molto male. Mi sento preso in giro dalla giustizia”.
“Ma veramente un giudice può dire una cosa del genere a dei genitori che per quattro giorni hanno creduto che il figlio fosse vivo? Non hanno commesso errore perché erano in buona fede? E noi, allora? Noi non dobbiamo più credere a nessuno, perché se le autorità ci dicono una cosa, dobbiamo pensare che può essere anche il contrario, che può essere un errore in buona fede”.
Poi conclude: “Io non credo più a nulla, il processo possono anche non farlo a questo punto, ormai non ha senso credere nella giustizia. Se non fosse per la promessa fatta a Stefano, avrei già abbandonato tutto. Questa è l’Italia”, conclude Feniello, che è assistito dall’avvocato Camillo Graziano. (Fonte ANSA)