Rigopiano, vogliono farci instant-fiction su Mediaset. Superstiti dicono no

PESCARA –Rigopiano, vogliono farci instant-fiction su Mediaset. “La valanga”, con questo titolo che di certo non brilla per fantasia, dovrebbe arrivare il prossimo gennaio la fiction sulla tragedia dell’hotel Rigopiano. L’annuncio ufficiale c’è stato: 4 puntate da 50 minuti in onda, con ogni probabilità, sui canali Mediaset a partire, appunto, da gennaio 2018. Ad esattamente un anno dai fatti. Subito dopo l’annuncio, immancabili, le polemiche tra accuse di sciacallaggio e insensibilità e rivendicazioni di ruolo sociale per un simile progetto.

L’obiettivo è “far luce sulla verità dei fatti e insieme rendere omaggio alle vittime e a tutti quegli uomini e donne che in condizioni proibitive e a rischio della loro stesa vita, non si sono risparmiati, lavorando senza tregua per cercare i superstiti – spiega l’amministratore delegato di Taodue, la società di produzione televisiva e cinematografica del gruppo Mediaset, Pietro Valsecchi -. Sono state giornate che abbiamo seguito tutti con emozione e partecipazione in un’alternanza di sentimenti. La trepidazione per chi era intrappolato, il sollievo per chi è stato salvato, la commozione per le vittime, l’ammirazione per chi ha lottato fino all’ultimo per salvare vite umane e infine anche la legittima domanda che tutti si pongono: si poteva evitare questa tragedia?”. Valsecchi è il produttore dei film di Checco Zalone, ma anche e forse soprattutto in questo caso della serie Distretto di polizia e di un lungo elenco di fiction ispirate ai fatti di nera, dai delitti della Uno bianca al sequestro Soffiantini e sino alla strage di Nassiriya.

Valsecchi, scrive Marco Imarisio sul Corriere della Sera, “agisce sull’onda emotiva suscitata dagli eventi in questione. La macchina poi si mette in moto e arriva a destinazione con tempi fisiologici, minimo 3-4 anni dai fatti. Come è normale che sia. Solo che questa volta l’annuncio di una fiction televisiva sulla tragedia dell’hotel Rigopiano è arrivato con un comunicato ufficiale, trasformando una ipotesi di lavoro in una notizia ufficiale e ottenendo così una discreta ricaduta pubblicitaria”.

Insieme alla ricaduta pubblicitaria è arrivata anche la ricaduta sociale dell’annuncio che si è tradotta, partendo da chi quella tragedia l’ha vissuta in prima persona, in un coro di accuse. Giampiero Parete che ha vissuto quelle 58 ore in bilico tra disperazione e speranza, lui in salvo con sua moglie e i suoi bambini dispersi, chiede: “Ma lo possono fare? Non si può impedire?”. Il cuoco che per primo diede l’allarme e che è tornato al ristorante dove lavorava, gestito da Quintino Marcella, l’uomo che ricevette il suo messaggio e avvisò la Prefettura, incontrando molte difficoltà ad essere preso sul serio, aggiunge: “Potrebbero anche lasciar perdere. A momenti non hanno nemmeno fatto i funerali di tutte le vittime, e stiamo già a farci il film? Ci vuole rispetto e sensibilità, in certe cose”.

E la sensibilità è forse la cosa che manca in questa vicenda tra cronaca e cinema. Delle tragedie, umane, politiche, sociali che siano, se ne parla, è bene parlarne e farlo tramite il cinema o la tv è assolutamente normale e non è, in molti casi, un’operazione solo finalizzata al ritorno economico. Si sono fatti film, alcuni belli altri meno, che hanno contribuito a mantenere vivo il ricordo di alcuni fatti facendoli conoscere al mondo, e si sono fatti persino film che hanno contribuito a far luce e ad individuare responsabili di tragedie che si sarebbero potute evitare.

Il punto in questo caso è la tempistica, che nelle sue manifestazioni non tiene conto della sensibilità, e assume quindi il sapore della mera operazione commerciale. “La valanga – ragiona Imarisio -, risponde forse alla necessità di mettere per primo il cappello su quelle giornate”. Una necessità forse comprensibile in termini di mercato, ma nella realtà assolutamente fuori luogo. Giorgia Galassi, la studentessa universitaria sopravvissuta, ha detto la cosa più semplice, vera e giusta che si potesse dire al riguardo: “Premesso che non lo guarderei, mi sembra prematuro. Se proprio vuoi fare un film sarebbe il caso di lasciar passare un po’ di tempo”.

Dunque desta perplessità l’instant fiction e, sia consentito dirlo, anche il format della fiction. Di certo un documentario non offenderebbe nessuno, anzi. Forse anche un film avrebbe il passo e la cifra espressiva a misura di questa tragedia nazionale e a misura della fatica e competenza di chi ha soccorso e salvato vite. La fiction rischia grosso, per sua stessa natura, di trasformare una storia di vita e di morte in una storia-storiella.

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