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“Riti Voodoo per costringermi a prostituirmi”: nigeriana in fuga fa arrestare trafficanti

di Daniela Lauria |21 Giugno 2016 10:05

“Riti voo doo per costringermi a prostituirmi”: nigeriana in fuga fa arrestare trafficanti

PALERMO – “Mi hanno fatto un rito Voodoo per ricattarmi e costringermi a prostituirmi“. A raccontarlo alle forze dell’ordine è una giovane nigeriana, di 26 anni, che ora vive sotto protezione in una località segreta. Sognava di venire in Italia a fare la tata e invece è finita ridotta in schiavitù e costretta a vendere il suo corpo: grazie alla sua testimonianza la Guardia di Finanza di Lampedusa è riuscita a smantellare un’organizzazione criminale di trafficanti umani. La Procura di Palermo ha ordinato l’arresto di 4 persone: tre nigeriani e un ghanese, accusati di associazione a delinquere internazionale, finalizzata alla riduzione in schiavitù, alla tratta di persone e al favoreggiamento di immigrazione clandestina.

Secondo quanto riportato dal Corriere a capo dell’organizzazione c’era proprio la maman che praticava i riti voodoo alle ragazze. La donna abitava a Reggio Calabria, mentre un complice era di stanza a Napoli. Gli altri due facevano la spola tra Lampedusa ed Agrigento.

Le giovani vittime venivano adescate in Nigeria: “A fronte della ingannevole promessa di opportunità lavorative in Italia, erano indotte ad assumersi un debito di 30 mila euro, quale pagamento del viaggio e per l’avviamento al lavoro, approfittando, tra l’altro, della situazione di vulnerabilità psicologica determinata dalla celebrazione di un rito Voodoo, quale garanzia del debito – spiegano gli investigatori – Nel trasferimento dalla Nigeria alla Libia, erano costrette contro la loro volontà a permanere presso strutture di detenzione libiche nella disponibilità dell’associazione criminale, per poi essere imbarcate alla volta dell’Italia”.

“Avevano preteso 30 mila euro per un lavoro in Italia – ha raccontato la super testimone alla polizia – Ma, arrivata in Libia, mi sono trovata rinchiusa in una casa, assieme ad altre ragazze. Ho capito a cosa stavo andando incontro. Volevo fuggire, ma non potevo. Mi dissero che sarei dovuta andare in Sicilia. E così è stato. Appena arrivata, su un barcone, sono fuggita”.

Appena giunte in Italia, raccontano ancora gli inquirenti, “le donne erano costrette a prestazioni sessuali e alla prostituzione con l’obbligo di riscattare progressivamente la somma concordata per riottenere la libertà ed evitare conseguenze lesive per loro ed i familiari in Nigeria. Tra i responsabili spicca la figura di una maman che, oltre a gestire le risorse logistiche funzionali all’associazione, assumeva la veste di vero e proprio collettore delle somme di denaro guadagnate dalle vittime e di dominus del vincolo di assoggettamento”.

Le indagini sono coordinate dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Maurizio Scalia e dai sostituti Geri Ferrara e Annamaria Picozzi.

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