ROMA – “Devi sta’ attento, perché ora sei sotto indagine”: due uomini, probabilmente due poliziotti ancora non identificati il 4 ottobre dello scorso anno provarono ad avvertire così Massimo Carminati. Per questo Carminati è stato arrestato con 48 ore d’anticipo rispetto al previsto. Per evitare che potesse scappare. Il boss della mala romana infatti, come si ascolta e si legge dalle intercettazioni degli ultimi giorni, sembrava consapevole dell’indagine e dell’arresto imminente. E per questo la procura di Roma ha scelto di arrestarlo in anticipo per ipotetico possesso di armi, con tanto di perquisizione, in attesa di procedere con l’arresto per l’indagine sulla “Mafia capitale”.
La macchina con la targa della questura.
Il 4 ottobre dello scorso anno – scrive Giovanni Bianconi del Corriere della Sera – gli investigatori che tenevano sotto osservazione la stazione di servizio di corso Francia – zona nord di Roma, considerata da Carminati una sorta di ufficio – hanno visto arrivare un’Alfa Romeo 156 con una targa risultata intestata alla questura di Roma. Ne sono scesi due uomini, non ancora ufficialmente identificati; presumibilmente due poliziotti che sono stati intercettati mentre parlavano con l’ex estremista nero riciclatosi nelle file della criminalità comune, e oggi accusato di essere a capo di un’associazione mafiosa.
Nel corso della conversazione uno dei due dice a Carminati: «Perché adesso, te stai sotto indagine…». E l’altro: «Oppure, per dire, che devi… devi evita’… devi evitare». Commento dell’interessato: «È un casino…». Poi la conversazione prosegue sui burrascosi trascorsi di Carminati, quando era «un pischello», un soldato della destra sovversiva che combatteva lo Stato, e lui conclude: «Adesso so’ un vecchietto…». Uno dei due interlocutori gli chiede se è vero che sparò a un poliziotto, e quando Carminati conferma si lascia andare: «Però so’ affascinato…». L’ex «pischello» rivendica: «quella è la storia nostra… hai capito? Erano altri tempi», e l’altro, sempre più rapito dai ricordi del guerrigliero tramutatosi in bandito, confessa: «Io starei due giorni a sentirti…». Anche perché «non sei stato un santo, però manco sei stato…». E salutando dice: «Massime’, è sempre un piacere».
Per evitare le intercettazioni ambientali spesso Carminati faceva bonificare i luoghi sospetti. E in alcuni casi è stato utilizzato anche il jammer, il “disturbatore di frequenze”.
«Intanto ti porto un coso… un jammer… – diceva Carminati all’amico -. Lo mettiamo qua lo attacchiamo così quando uno è… lo accende e vediamo… qui i telefonini pure se son accesi…». Perfino un furto perpetrato nella sede di un altro ufficio frequentato dagli indagati fa temere al presunto boss un pretesto per nascondere microfoni: « Faglie fa’ una bella bonifica… guarda dentro le cose, dentro tutte le placche… faglie smonta’ le plastiche». Per i cellulari il presunto boss aveva predisposto schede «dedicate», un numero riservato per ogni interlocutore, in modo da ridurre al minimo il pericolo di farsi registrare. E temeva microspie anche in macchina lanciandosi nella ricerca nei posti più nascosti della vettura: «Devi smontare là sotto e guardare – spiegava a un amico coinvolto nell’indagine -. Mandi la cosa…. poi quando lo voi… me lo dici… annamo dall’amicuccio mio…».
E si lamentava di dover fare i conti con tutte queste Una riprova dell’attenzione quasi maniacale ad evitare le intercettazioni (senza riuscirci) sono le ripetute «bonifiche» ordinate nei luoghi in cui sospettava ci fossero microspie: dallo studio dell’avvocato Pierpaolo Dell’Anno (dove la cimice fu effettivamente scoperta e lasciata al suo posto per non mettere in guardia gli investigatori che ne avevano piazzata un’altra nel corridoio, grazie alla quale registrarono tutto), all’utilizzo nell’ufficio di Buzzi del jammer, il «disturbatore di frequenze» che doveva impedire eventuali intercettazioni. «Intanto ti porto un coso… un jammer… – diceva Carminati all’amico -. Lo mettiamo qua lo attacchiamo così quando uno è… lo accende e vediamo… qui i telefonini pure se son accesi…». Perfino un furto perpetrato nella sede di un altro ufficio frequentato dagli indagati fa temere al presunto boss un pretesto per nascondere microfoni: « Faglie fa’ una bella bonifica… guarda dentro le cose, dentro tutte le placche… faglie smonta’ le plastiche».
Per i cellulari il presunto boss aveva predisposto schede «dedicate», un numero riservato per ogni interlocutore, in modo da ridurre al minimo il pericolo di farsi registrare. E temeva microspie anche in macchina lanciandosi nella ricerca nei posti più nascosti della vettura: «Devi smontare là sotto e guardare – spiegava a un amico coinvolto nell’indagine -. Mandi la cosa…. poi quando lo voi… me lo dici… annamo dall’amicuccio mio…». E si lamentava di dover fare i conti con tutte queste
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