Ignazio Marino, sindaco di Roma dalla primavera 2013,
“in un solo colpo ha ridicolizzato l’Arma dei Carabinieri, il Corpo dei Vigili urbani, il diritto amministrativo, la sapienza giuridica del capo di gabinetto, e per finire anche la parola curriculum, ossessione di Marino, di Beppe Grillo e dei grillini, parola sulla quale pedala più che sulla sua stucchevole bicicletta”.
Le parole sono di Francesco Merlo e le ha stampate Repubblica ma riflettono il sentimento di quanti, residenti di Roma o visitatori, hanno a che fare ogni giorno con lo scempio del traffico perpetrato da Marino per la sua fissa ideologica degna di Pol Pot, di chiudere alle sole auto private poche centinaia di metri di strada attorno al Colosseo, sconvolgendo la vita e soffocando di inquinamento un quartiere di Roma popolato come Alessandria o Treviso.
Gli fa eco, sul Corriere della Sera, Ernesto Menicucci. Il sindaco è
“già col fiato corto”.
È tempo, scrive Merlo,
“di mettere in fila tutti i pasticci di demagogia di Marino, comprese le 75 assunzioni nello staff e nell’ufficio stampa“.
Qui scatta un po’ di orgoglio siciliano. La assuntopoli di Marino si è verificata, scrive Merlo che è di Catania,
“proprio mentre Rosario Crocetta in Sicilia licenziava i suoi 86 giornalisti”.
Poi il tono si fa minaccioso:
“Marino giri pure in bicicletta se gli piace, ma sia meno goffo nella battaglia contro la minaccia del fallimento economico, cominci a fare qualcosa contro la sporcizia e il degrado del centro storico sempre più pittoresco terzo mondo, contro i finti centurioni e la mafia della cartellonistica abusiva che di nuovo ha invaso Roma come dimostrano ogni giorno le immagini messe in rete dawww.romafaschifo.it. E si ricordi della manutenzione ordinaria e della povera gente che sempre più dorme per strada dentro i cartoni”.
La profezia:
“L’inverno sta arrivando anche per lui: dopo aver svelato il sindaco macchietta sullo spalaneve potrebbe innevare di ridicolo anche il sindaco che pedala sui curricula”.
La spinta finale alla invettiva contro Marino è stata data dalla ignominiosa conclusione della crisi dei Vigili, che occupa le pagine dei giornali di Roma da giorni mentre Repubblica, che di Marino è una specie di organo semi ufficiale e che dice solo il bene, fino a ieri ha risparmiato ai suoi lettori tutto il tormentone degli ultimi giorni. Forse al giornale pensano si tratti di gente troppo assorta in pensieri nobili per turbarla con la volgarità del traffico, dei parcheggi e dei Vigili urbani, pomposamente autodefiniti Polizia di Roma Capitale, che per di più sono di estrazione sociale bassa e considerati anche di destra.
Solo mercoledì la cronaca di Roma di Repubblica si è accorta del caso. Allo sforzo di recuperare un po’ di credibilità forse si deve l’uno due, con il secondo colpo affidato alla penna magistrale di Francesco Merlo, caustico fin dalle prime righe:
“Aveva scelto come nuovo capo dei Vigili di Roma [Oreste Liporace] un ufficiale dei Carabinieri che ha tre lauree ed è dunque ideale per un ufficio studi ma, come ha stabilito l’Avvocatura costringendolo poi a dimettersi, non ha sufficienti titoli di comando”.
Dal punto di vista dello stipendio, per Liporace sarebbe stato un bel salto: da 70 a 190 mila euro lordi anno. Sarebbe stato anche un bel salto di responsabilità e rogne, da uno dei tanti ufficiali superiori di carabinieri al numero uno della Polizia di Roma Capitale.
Merlo è definitivo:
“Con questo suo ultimo pasticcio Ignazio Marino ha esaurito il credito che gli era dovuto perché è di sinistra e perché ha sconfitto Alemanno”.
Marino, insinua Francesco Merlo, deve aver visto il tenente colonnello dei Carabinieri, addetto alle Pr del Comando generale, come
“una specie di Clint Eastwood colto, uno sceriffo di pensiero e un professore di azione”.
Liporace ha
“tre lauree, un master, un diploma di consgliere giuridico e un’abilitazione come commercialista”
e deve essere sembrato a Marino come
“l’incrocio tra Norberto Bobbio e il generale Dalla Chiesa”.
Nessuno invece si è accorto che,
“Liporace è colonnello dal gennaio scorso e dunque è dirigente solo da nove mesi e non dai cinque anni richiesti dal regolamento e specificati dallo stesso Marino nel suo avviso pubblico, nella sua richiesta di curricula, che sono l’ossessione sua e dei grillini”.
Invece di ritirare la candidatura di Liporace, Marino ha sfidato i Vigili, legittimando così
“le loro proteste sindacali, sino alla lettera giustamente indignata che gli hanno indirizzato ben 25 dirigenti”.
Bastava chiedere, osserva Merlo, ai carabinieri, che
“a differenza di Marino, sanno leggere i curricula e pensano che l’abbondanza di dottrina, che è una rara magnificenza se la si sa impiegare, in genere corrisponda ad una mancanza operativa”.
Si sarebbe scoperto così che Liporace
“ha comandato una compagnia impegnativa a Castellamare di Stabia e poi ha maturato i suoi meriti a Castelgandolfo e negli uffici del ministero della Difesa e del comando generale dell’arma. Marino, che davvero non lo conosceva prima, lo aveva scelto tra 99 candidati tra i quali comandanti ed ex comandanti dei vigili urbani di Firenze, Torino, Forlì, il vicequestore Raffaele Clemente, l’ex pubblico ministero Carlo Lasperanza…”.
Merlo non dice, forse per non infierire, che Marino ha commesso un errore fondamentale: quello di mandar via, degradandolo al controllo del mercato dei fiori, il precedente comandante, Carlo Buttarelli, senza avere la soluzione pronta per il ricambio. Le aziende e le amministrazioni sono un po’ come il corpo umano e un chirurgo dovrebbe saperlo…
Anche il Corriere della Sera, che ha quasi puntualmente seguito le malefatte del sindaco Marino, quasi come il più completo Messaggero, ha trattato il dramma di Roma e dei romani in una pagina nazionale e ha affidato la cura dell’intera pagina a un cronista romano che ha seguito con scrupolo la vicenda, Ernesto Menicucci.
Anche per Menicucci la passione per la bicicletta di Marino diventa oggetto di burla:
“Il sindaco ciclista cammina già in salita. Sono passati quattro mesi dall’elezione di Ignazio Marino, ma la «luna di miele» del chirurgo dem è finita. O meglio, non è mai cominciata. Problemi con la sua maggioranza, isolamento rispetto ai vertici del Pd, «gaffe» a ripetizione, immobilismo nell’azione politica, pasticci amministrativi, come quello sulla nomina del nuovo capo della Polizia Municipale”.
Quella del capo dei Vigili è una
“vicenda «opaca», che espone sindaco e Comune ad una clamorosa figuraccia, tra selezioni poco chiare, titoli mancanti e dietrofront. Marino, appena insediato, ha «silurato» il precedente comandante Carlo Buttarelli, lanciando poi un avviso pubblico per individuare il successore. Dopo oltre due mesi, la scelta di Oreste Liporace, colonnello dei carabinieri: presentazione ufficiale, foto di rito, stretta di mano. A distanza di poche ore, la marcia indietro: Liporace non ha i requisiti — cinque anni da dirigente — richiesti dal Comune. Nomina «congelata» e, di fatto, decaduta. Problema risolto? Nemmeno per sogno. Perché Marino vuole comunque nominare un comandante «esterno» al corpo, scatenando la rivolta dei vigili, pronti allo sciopero. Il sindaco tira dritto: «Vogliono la guerra? La avranno»”.
Ma non ci sono solo i vigili, avverte Menicucci:
“Marino, in 120 giorni, un braccio di ferro dopo l’altro, è riuscito nell’impresa di mettersi tutti (o quasi) contro: il centrosinistra, i sindacati, commercianti, imprenditori. Prima la pedonalizzazione dei Fori Imperiali, l’unico progetto finora portato avanti dalla giunta capitolina, che ha scatenato le proteste di abitanti e negozianti delle zone limitrofe”.
Menicucci ricorda anche l’imbarazzante vicenda della nuova discarica a Falcognana, vicino al santuario del Divino Amore: prima anunciata, poi abbandonata.
La vicenda non è chiara,, ci deve essere sotto qualche inghippo di partito o di bande Pd. L’avesse fatto Gianni Alemanno, precedente sindaco, ex militante fascista di quelli duri e puri, sui giornali si sarebbe scatenato l’inferno.
Ci sono problemi anche per i cantieri di una nuova linea della metro , dove è sceso in guerra
“con colossi del settore: Astaldi, Ansaldo di Finmeccanica, le Coop ma, soprattutto, col «nemico» Francesco Gaetano Caltagirone, editore del Messaggero, proprietario della Vianini”.
Anche quelli del Pd, che lo hanno portato a sindaco in una delle tante mosse sbagliate di Pierluigi Bersani, sono furibondi con Marino, che
“viene accusato di «non ascoltare nessuno», di essersi chiuso «nel suo cerchio magico», con uno staff che — in gran parte — non è di Roma e che conosce poco la città. La giunta non produce delibere, e il consiglio comunale — di conseguenza — è fermo. Coi leader del partito, da diverse settimane, è calato «il gelo». Anche con chi — come Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti — è stato il principale sponsor per la candidatura di Marino alle primarie del centrosinistra. Adesso, la definizione che circola con maggiore insistenza è «inaffidabile». La «goccia» [che ha messo in crisi i rapporti tra Marino e Zingaretti] è stato l’invito fatto da Marino a Matteo Renzi, per una «passeggiata» sui Fori Imperiali in bicicletta: la visita poi c’è stata, la pedalata no, a causa della ressa che si era creata. Tanto che lo stesso sindaco di Firenze è andato via infastidito e piuttosto perplesso”.
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