Rosita Raffoni suicida a 16 anni: genitori condannati. “L’hanno umiliata e denigrata”

Rosita Raffoni suicida a 16 anni. Genitori condannati: "L'hanno umiliata e denigrata"
Rosita Raffoni suicida a 16 anni. Genitori condannati: “L’hanno umiliata e denigrata”

BOLOGNA – Rosita Raffoni si è tolta la vita perché si sentiva “umiliata e denigrata dai genitori”. E’ scritto così nelle motivazioni della sentenza di condanna in primo grado dei coniugi Roberto Raffoni e Rosita Cenni, accusati di maltrattamenti nei confronti della figlia sedicenne, tali da condurla alla decisione di uccidersi.

“Molto più che i rimproveri – si legge nelle 145 pagine depositate dalla Corte d’Assise di Forlì – i litigi, le discussioni e persino le punizioni, stupiscono e connotano questa anomala forma di maltrattamento, l’indifferenza, il distacco emotivo, la mancanza di dialogo e empatia, il disinteresse, il fastidio, provato nei confronti di una figlia straordinariamente sensibile e intelligente”.

Parole chiare, dure, forse più pesanti della condanna stessa. Sono quelle che hanno condotto lo scorso giugno i giudici a stabilire una pena di tre anni e quattro mesi di carcere, per il reato di maltrattamenti, nei confronti dei coniugi Raffoni.

La ragazzina si tolse la vita il 17 giugno 2014, lanciandosi dal tetto dell’istituto scolastico che frequentava e lasciando in un messaggio video sul suo cellulare e in una lettera pesanti accuse sul comportamento dei genitori, tali da spingerla a farla finita. Dalla voce della 16enne i giudici ascoltarono le accuse rivolte ai genitori, in cui la ragazza diceva di sentirsi odiata aggiungendo che, proprio per questo, non avrebbero provato dispiacere per la sua morte.

Ripercorrendo l’ultimo periodo di vita di Rosita, le testimonianze degli amici, gli scritti della 16enne e descrivendo “il cinismo dei genitori nell’imporre una modalità di vita priva di alcuna attrattiva”, i giudici ricostruiscono il quadro dei presunti maltrattamenti a cui venne sottoposta. Sotto forma di “deprivazione affettiva e di svalutazione della personalità”, realizzati in un arco temporale abbastanza lungo, “coincidente con il periodo in cui Rosita, aperta alle nuove esperienze di una ragazza avviata verso la maturità, si scontrava con le chiusure sentimentali oltre che materiali di una famiglia problematica”.

Quella che viveva Rosita, scrivono i giudici, era una “patologica situazione relazionale creata da condotte improntate a castrazione e repressione, denunciate dall’impotente e inerme vittima nella maniera più inequivocabile”.

Il suicidio di Rosita sembra quasi inevitabile, “una scelta sofferta e necessitata“, scrivono ancora i giudici utilizzando una frase, definita acuta dalla Corte, della memoria dei pm Sara Posa e Filippo Santangelo: “La lettura, faticosamente attenta, dei messaggi e delle e-mail esalta l’intelligenza, la vivacità, la sensibilità ed il carattere di Rosita, in stridente contrasto con un gesto d’impeto, di leggerezza, di squilibrio”.

La 16enne, si legge infine nelle motivazioni, per via dei presunti maltrattamenti che emergevano a fronte di una “mal intesa funzione genitoriale, svolta dai coniugi Raffoni” era esposta “ad un contesto traumatico cronico, costellato da incertezze e frustrazioni, isolamento totale, umiliazioni e denigrazioni della dignità umana, negazione del ruolo di figlia e di appartenenza al nucleo familiare”.

La Procura aveva chiesto sei anni per il padre, accusato anche di istigazione al suicidio e assolto da questo reato per mancanza di elemento soggettivo, e due anni e mezzo per la madre.

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