Salame di Felino si può produrre a Cremona: Kraft batte salumifici locali

Salame di Felino si può produrre a Cremona: Kraft batte salumifici locali
Salame di Felino si può produrre a Cremona: Kraft batte salumifici locali (foto Ansa)

ROMA – Il salame di Felino, anche se prende il nome da un paese vicino Parma, poteva essere prodotto a Cremona e mantenere quel nome. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione dopo sedici anni di contesa giudiziaria tra il colosso “global” Kraft e la piccola galassia “local” dei salumifici di Felino e dintorni che, invece, in primo e secondo grado avevano ottenuto la condanna della multinazionale per concorrenza sleale e illecita utilizzazione del marchio.  In questo lungo braccio di ferro a suon di carte bollate, approdato anche alla Corte di Giustizia Ue alla quale la stessa Cassazione, nel 2013, aveva chiesto lumi, Kraft ha avuto come alleato l’Assica, l’associazione degli industriali delle carni.

In sostanza, è scritto nella sentenza 2828 della Prima sezione civile della Suprema Corte – verdetto importante per “la novità della questione e la sua complessità”, scrivono gli stessi ‘ermellini’ – il salame di Felino poteva essere prodotto ovunque, e non solo nei comuni limitrofi, dal momento che l’Italia, almeno fino al gennaio 2013 quando il caso viene inviato a Strasburgo, non aveva fatto nulla per tutelare questo salume, né con una legge nazionale che fissasse, ad esempio, un disciplinare di produzione, né chiedendo la registrazione del marchio a livello comunitario. E questo sembra, alla luce di questa sentenza, un requisito necessario alla tutela dei prodotti “local”, al quale non supplisce l’intervento del legislatore nazionale, specie se datato.

Il salame di ‘Felino’ ha ottenuto dalla Commissione Ue il riconoscimento dell’indicazione geografica protetta solo il cinque marzo del 2013. E disattendendo quanto stabilito dal Tribunale di Parma e dalla Corte di Appello di Bologna nel 2006, la Cassazione sottolinea che “per essere un dato prodotto protetto con una indicazione di provenienza geografica, necessita di essere registrato ai sensi del regolamento Ce 2081/92” e in nessun modo il d.lgs 198/96 sui prodotti ‘doc’ può venire in soccorso in mancanza del marchio europeo, come avevano invece ritenuti i giudici emiliani. Sconfessato, dalla Cassazione, anche il loro punto di vista sul fatto che “persisteva una reputazione del prodotto in ragione della sua tradizione che ne giustificava la protezione come indicazione geografica” e dunque dava diritto ai soli salumifici ‘locali’ di apporre la dicitura “di Felino”.

Per la Cassazione, invece, “e’ proprio detta accertata reputazione derivante dal luogo di origine che fa sì che l’indicazione ‘salame Felino’ rientri nella definizione di indicazione geografica stabilita dal regolamento comunitario e necessiti quindi, ai fini del riconoscimento del relativo diritto, della registrazione presso il registro comunitario dovendosi escludere che il riconoscimento del diritto sulla indicazione geografica possa avvenire in base alla legislazione nazionale”. I supremi giudici, inoltre, ricordano che – come già accertato dai magistrati di merito – il salame ‘Felino’ non è più “collegato attualmente al territorio della provincia di Parma quanto a caratteristiche e qualità, posto che non sono più rinvenibili nell’ambiente i microorganismi che procuravano peculiari caratteristiche al prodotto e che le materie prime e la tecnologia produttiva sono utilizzabili e riproducibili anche in altri luoghi”.

Decidendo nel merito, la Cassazione ha rigettato tutte le domande di tutela dei salumifici parmensi, compresa quella sulla concorrenza sleale, e ha fatto ‘tabula rasa’ dei verdetti precedenti accogliendo il reclamo di Kraft e Assica. Il caso era arrivato in Cassazione nel 2006, l’udienza era stata fissata nel 2013 quando con una ordinanza interlocutoria la vicenda era stata inviata a Strasburgo che ha dato indicazioni con sentenza dello scorso maggio. Il 28 novembre 2014 la Cassazione ha discusso la causa e ora che si legge la decisione, depositata oggi, emerge come sia praticamente impossibile – date le nuove tecnologie e il libero mercato – tutelare un prodotto locale che non abbia fatto il percorso per ottenere il ‘marchio’ di riconoscimento dalla Ue.

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