Saman Abbas, se la famiglia ne ha decretato e messo in atto la morte (gli inquirenti hanno al riguardo un solo dubbio: dove sia il cadavere) il perché della sentenza ed esecuzione è alquanto diverso dal semplice non voleva un matrimonio forzato.
Una madre che accompagna una figlia ad essere uccisa, un padre che materialmente la consegna a chi deve ammazzarla e poi versa lacrime per quanto ha appena voluto e dovuto fare, uno zio che si incarica dell’omicidio e cugini che partecipano e aiutano alla sepoltura sono le immagini, le sequenze, la sceneggiatura e gli interpreti di una cerimonia, la cerimonia di un sacrificio umano.
Non solo Saman Abbas: sacrifici umani per la prosperità
Quando pensiamo ai sacrifici umani la mente va alle sommità delle piramidi maya o azteche: i sacerdoti, il pugnale sacro, la comunità che accompagna la vittima da sacrificare. Altre culture hanno conosciuto il rito del sacrificio umano. Sacrificio che veniva ritualmente praticato ad un solo fine: garantire, proteggere la prosperità della città, del villaggio, della tribù.
Ci sono culture che lo conoscono e lo praticano ancora. Sotto altra forma, non più i gradoni di una piramide e il sangue del sacrificio che deve idealmente irrorare e rendere fertili le terre e copiose e puntuali le piogge. Sotto forma, ad esempio, di una donna che deve morire perché la famiglia non perda la faccia, la credibilità sul mercato delle relazioni sociali, in ultima analisi parte del suo patrimonio e quindi la prosperità della famiglia.
Saman Abbas, se come tutto indica è stata uccisa, è stata sacrificata perché la sua famiglia restasse prospera.
Cultura della donna come merce da riproduzione
Qui e oggi sul pianeta ci sono culture che considerano la donna sostanzialmente una merce da riproduzione. Quindi con un valore di scambio. Culture dove i matrimoni sono tutti (tutti!) combinati. Combinati in una logica di scambio, scambio che deve consolidare e accrescere il valore patrimoniale delle famiglie, che combinano il matrimonio e della famiglia che dal matrimonio combinato si forma.
Combinare un matrimonio è un contratto tra famiglie, contratto che definisce affidabilità sociale e quindi valore delle famiglie contraenti. Non ottemperare al contratto è non fornire la merce da riproduzione, è non essere in grado di fornirla, è perdere onorabilità cioè valore sociale e patrimoniale.
Per questo accade che famiglie che di quella cultura vivono uccidano le loro figlie, lo fanno perché la famiglia non perda valore, lo fanno per la famiglia, versano il sangue delle loro figlie sull’altare della famiglia. La famiglia nella sua essenza di unità economica.
Questa è cultura diffusa nelle aree rurali (e non solo) del Pakistan, dell’Afghanistan e anche dell’India e anche di altre zone dell’Asia e, con modalità e sfumature appena diverse, in paesi del Golfo o dell’Africa. L’Islam c’entra relativamente poco, copre il tutto con la tradizionale misoginia dei monoteismi, ma niente più.
Il matrimonio come mercato, luogo di scambio della merce da riproduzione non è precetto religioso ma modello di organizzazione socio-economico. Per secoli in Occidente qualcosa di simile è stata la norma. Di simile nel ruolo assegnato alla donna, di simile nel considerare la donna merce da riproduzione e nel costruire intorno a questo parametro economico addirittura un’etica del comportamento femminile e dell’onore maschile.
Da due-tre secoli in Occidente non più. Non più mercato dei matrimoni, non più prosperità familiare legata alla compra vendita di merce umana da riproduzione. Anche se permane testarda e sembra inestirpabile l’idea della donna come cosa di proprietà dell’uomo, magari acquisita per via di pregresso amore.
Saman Abbas sacrificata per la famiglia: un’aggravante
Saman Abbas, se come è accaduto ad altre ragazze figlie della medesima cultura, se è stata sacrificata dalla famiglia come merce ribelle che va eliminata dal mercato perché la famiglia prosperi, questo è delitto con ogni aggravante possibile. Premeditato, organizzato, voluto.
Delitto per il valore della “roba” di famiglia. Una cultura e una famiglia che considerano una figlia una partita minore nel valore complessivo dell’unità familiare non meritano alcuna comprensione e neanche umana pietà. Capire perché davvero lo fanno serve a rifiutare e respingere appieno quella cultura.