San Felice Circeo, ritrovati i resti di nove uomini di Neanderthal nella Grotta Guattari FOTO

Ottantadue anni dopo la scoperta nel sito paleolitico della Grotta Guattari a San Felice Circeo, in provincia di Latina, una nuova ricerca della Soprintendenza archeologica di Frosinone e Latina in collaborazione con l’Università di Tor Vergata, ha portato alla scoperta di reperti fossili “attribuibili a 9 individui di uomo di Neanderthal“. “Un ritrovamento eccezionale”, per il ministro della Cultura Dario Franceschini.

La scoperta nella Grotta Guattari a San Felice Circeo

Le indagini sono cominciate nell’autunno del 2020 nell’ambito di una operazione di messa in sicurezza della grotta Guattari, che prende il nome dal suo scopritore, proprietario del terreno su cui insiste il sito e dove nel febbraio del 1939 fu rinvenuto un primo cranio. Già all’epoca, grazie agli studi del paleontologo Alberto Carlo Blanc, si era compresa immediatamente la grandissima rilevanza di questo sito, classificato come uno dei più importanti del paleolitico medio europeo.

Si tratta di “un ambiente assolutamente unico”, spiega Mario Rolfo, docente di archeologia preistorica dell’Università di Tor Vergata, perché un crollo, forse dovuto ad un terremoto, ne chiuse l’ingresso circa 60mila anni fa. Al suo interno, stratificata nel tempo, una straordinaria banca dati di elementi fossili, resti di vegetali, di umani e anche di animali dei quali non si conosceva la presenza in queste zone, elementi che secondo i ricercatori permetteranno ora di ricostruire la storia di tutto il Circeo e della pianura pontina, luoghi che l’uomo di Neanderthal ha frequentato per un arco di tempo che va da 300mila ad almeno 50mila anni fa.

La nuova indagine si è estesa in particolare ad un’area della grotta che non era stata toccata nemmeno dal lavoro di Blanc. Si tratta della zona detta “del laghetto”, perché da ottobre ad aprile viene allagata dalla falda sottostante. Proprio in quell’area sono stati rinvenuti diversi resti umani, tra cui una calotta cranica, un frammento di occipitale, frammenti di cranio (tra i quali due emifrontali), frammenti di mandibola, due denti, tre femori parziali e altri frammenti in corso di identificazione.

Ritrovati 9 resti di uomini di Neanderthal al Circeo

Tra i nuovi individui ricostruiti dagli archeologi, 9 in tutto che si aggiungono ai 2 già ricostruiti nel 1939, c’è una sola femmina. I resti risalgono comunque ad epoche diverse. In particolare 8 sono di ominidi vissuti tra i 50mila e i 68mila anni fa, mentre il più antico di loro avrebbe tra i 100mila e i 90mila anni.

Ad arricchire il quadro una moltitudine di resti animali, a partire dalle iene che sono state le ultime ad usare la grotta come tana dove trascinavano le carcasse delle loro prede: dall’uro, un grande bovino oggi estinto, al cervo nobile. Ma sono presenti anche resti diversi, dal rinoceronte al cervo gigante (Megaloceros), dall’orso delle caverne all’elefante e al cavallo selvatico.

Ora l’obiettivo delle indagini è quello di ricostruire il quadro paleoecologico della pianura Pontina tra i 125mila e i circa 50mila anni fa, quando quelli che sono sempre stati indicati come “cugini” dell’homo sapiens – misteriosamente estinti all’incirca nel 26.000 a.C. – frequentavano il territorio laziale. Scavi e indagini sono stati estesi anche all’esterno della grotta dove sono state individuate stratigrafie e paleosuperfici di frequentazione databili tra i 60mila e i 125mila anni fa che testimoniano i momenti di vita dell’uomo di Neanderthal, i luoghi dove stazionava e dove, accendendo il fuoco, si cibava delle proprie prede.

La storia della Grotta Guattari a San Felice Circeo

Di fatto, spiegano gli esperti che da mesi sono al lavoro tra le rocce e le ossa sparse in questo mondo sotterraneo a due passi dal mare che fu della maga Circe, una sorta di smisurata banca dati che sarà utilissima per ricostruire la storia, ma anche l’ecosistema di queste terre in un arco di tempo lontanissimo, per i non addetti ai lavori persino difficile da immaginare, che va da 125 mila a 50 mila anni fa. Scoperta casualmente nel 1939, la Grotta Guattari, studiata a suo tempo dal paleontologo Alberto Carlo Blanc, deve la sua eccezionalità ad un crollo che circa 60 mila anni fa l’ha sepolta sigillandone l’apertura e facendo sì che tutto si mantenesse così com’era, in pratica una sorta di capsula del tempo.

Proprio per questo e per il ritrovamento allora di una calotta cranica straordinariamente ben conservata è stata subito annoverata tra i siti più importanti al mondo per lo studio dell’uomo di Neanderthal. Il nuovo intervento, fatto con l’aiuto di tecnologie e competenze che 80 anni fa non erano neppure immaginabili e allargato ad una zona della grotta che non era mai stata indagata neppure da Blanc, apre ora scenari di enorme interesse per la ricerca, spiega Francesco Di Mario, il funzionario archeologo della soprintendenza che dirige lo scavo.

Gli scheletri umani ricomposti, racconta, “appartengono tutti ad individui adulti, fatta eccezione forse solo per uno che potrebbe essere di un giovane”. Tra loro una sola femmina. Ma non si tratta di persone vissute tutte nella stessa epoca: i più vicini a noi sarebbero vissuti tra i 50 mila ed i 68 mila anni fa, il più antico addirittura tra i 100 mila ed i 90 mila anni fa. Adesso tutto questo materiale dovrà essere studiato, fa notare il direttore del servizio di antropologia del Sabab Lazio Mario Rubini, ma già dalle prime indagini sono arrivate tantissime informazioni, “un’analisi sul tartaro dei denti – anticipa – ha mostrato per esempio che la loro dieta era molto variata, mangiavano molti prodotti cerealicolo vegetariani, frutto della raccolta, ed è noto quanto una buona alimentazione sia fondamentale per lo sviluppo dell’encefalo” .

Tant’è, con i nuovi ritrovamenti, ribadisce Rubini, il sito del Circeo diventa “assimilabile per importanza a quello di El Sidron in Spagna o a quello di Krapina nell’ex Jugoslavia. La cosa incredibile al momento è che ci ha restituito molti individui, tanti da accendere una luce importante sulla storia del popolamento dell’Italia”.

E la speranza adesso è che studiando quest’immensa mole di materiale si possa arrivare a risolvere i tanti misteri che avvolgono questa specie. Uno in particolare, legato proprio alla Grotta laziale, dove tutti i crani ritrovati presentano una larga apertura alla base, come se qualcuno li avesse aperti apposta per mangiarne il cervello. In passato, ricorda l’antropologo, “era stata avanzata l’ipotesi di un rituale di cerebrofagia”, ma l’interrogativo è ancora aperto, dice, “potrebbe essere stato l’uomo ad aprire il foro occipitale e la iena a finire di sgranocchiarlo, potrebbe essere stata la iena stessa ad aprirlo, e potrebbe semplicemente trattarsi di una rottura dovuta al caso”. E’ uno degli enigmi, forse uno dei più inquietanti, che il lavoro dei prossimi mesi potrebbe riuscire a svelare.
 

 

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