L’Aquila, rubata l’ampolla con il sangue di papa Wojtyla. Ipotesi satanismo

Il santuario sul Gran Sasso
Il santuario sul Gran Sasso

L’AQUILA, 27 GEN – E’ stata rubata due giorni fa un’ampolla con il sangue di papa Wojtyla, reliquia che veniva conservata nella piccola chiesa di San Pietro della Ienca (L’Aquila), sotto il Gran Sasso, un piccolo santuario che era molto caro al papa polacco.

Oggi, dopo che la notizia è stata diffusa da tutti i giornali, oltre cinquanta carabinieri stanno setacciando passo passo la zona intorno alla piccola chiesa, alla ricerca della reliquia, rubata insieme ad una croce. La battuta si avvale di cani cerca persone. Le indagini dei militari guidati dal comandante provinciale, Savino Guarino, avrebbero evidenziato la possibilità che i ladri si siano disfatti dell’oggetto sacro. Sul furto arriva la condanna del presidente dell’Associazione culturale ‘San Pietro della Ienca’, Pasquale Corriere, promotore delle iniziative di rilancio turistico del Gran Sasso incentrato sulla figura di Wojtyla. Corriere ha ribadito che sono “tre sole al mondo le reliquie con il sangue di Wojtyla”.

A intervenire sulla vicenda è anche il comitato di volontariato osservatorio Antiplagio, secondo cui quanto avvenuto “non deve far escludere la pista satanica”. Il giorno del furto, infatti, coincide nel calendario satanico con l’inizio del dominio del demone Volac, evocato dal 25 al 29 gennaio, periodo nel quale rientrano anche il ricordo sacrilego e il risvolto satanico dell’olocausto nazista nella ‘Giornata della Memoria’, per preparare il capodanno di Satana che si celebra il primo febbraio.

Secondo gli adoratori del diavolo – spiega il coordinatore nazionale dell’osservatorio, Giovanni Panunzio, insegnate di religione – tale data rappresenta la nascita, le origini: quindi in questa fase dell’anno il sangue e la croce sono oggetti emblematici da profanare, sia per la religione cattolica che per quella ebraica. Il mercato dei simulacri religiosi nelle sette sataniche è particolarmente fiorente e i simboli sacri senza un particolare valore artistico, ma unici, come quelli trafugati all’Aquila, vengono pagati decine di migliaia di euro. Anche il ricatto e l’eventuale richiesta di un riscatto possono rientrare in quest’ottica criminale.

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