Sardegna: il bimbo di 3 anni diceva “salvatemi”, nessuno andò. La mamma denuncia

Enrico Mazzoccu
Enrico Mazzoccu

OLBIA – Enrico Mazzoccu è quel bambino di tre anni morto durante l’alluvione in Sardegna di novembre. Rimase imprigionato nella melma e gridava “aiuto”, in braccio a suo padre Francesco, ma nessuno venne. Ora quella storia di cronaca diventa anche una vicenda giudiziaria perché la mamma di Enrico, nonché vedova di Francesco, ha deciso di denunciare un operaio dell’Anas che, a suo dire, non avrebbe risposto alle richieste di aiuto che arrivavano proprio da Raica, la zona dove Mazzoccu padre e figlioletto sono morti.

L’operatore dell’Anas, un cagliaritano di 50 anni, si trovava sulla strada statale 127, che collega Telti a Tempio, ed aveva il compito di bloccare gli automobilisti per evitare che finissero dentro la voragine della carreggiata. Nella denuncia viene ipotizzata l‘omissione di soccorso. Di recente, però, proprio l’Anas, dopo una analoga denuncia per mancato soccorso da parte del dipendente dell’Ente, ha chiuso con una archiviazione un’inchiesta interna sull’episodio e l’operaio, assistito dall’avvocato Monica Liguori, è stato scagionato da qualsiasi responsabilità. Nei prossimi giorni la denuncia della donna e di alcuni automobilisti dovrebbero finire sul tavolo del magistrato.

Padre e figlio sono morti anche per colpa dell’indifferenza. Nessuno ha voluto aiutarli. Francesco, un omone istruttore di kickboxing, è stato per un’ora appeso ad un muretto a lottare con l’acqua. Enrico era tra le sue braccia, protetto dalla giacca. Chiedevano aiuto ma né “le istituzioni” né le persone del posto hanno mosso un dito.

Eccezion fatta per un meccanico che ha raccontato il suo dolore, la sua frustrazione e il suo sdegno al Tg di Enrico Mentana. “Stavo portando in salvo una signora con la mia macchina – ha raccontato Pietro Mariano a La7 – quando ho sentito delle grida di aiuto. Ho visto una mano che spuntava dall’acqua, apparteneva ad un uomo che aveva con sè un bambino. Gli ho detto di stare calmi e sono andato all’Anas a chiedere soccorso, ma mi hanno detto che non potevano fare nulla. Allora sono tornato lì e con delle funi, e con il padre del ragazzo in acqua che nel frattempo era arrivato, abbiamo provato a fare qualcosa, ma non ci siamo riusciti. Ho buttato quindi giù un cancello con la mia macchina, per cercare di avvicinarmi, ma le ruote sprofondavano. Sono tornato all’Anas e questa volta mi hanno minacciato dicendomi che mi avrebbero spaccato la faccia”.

 

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