TORPE’ (NUORO) – Il mare color fango, le strade invase dal fango. E fango nei negozi, nelle cantine, nelle case. E’ la Sardegna del giorno dopo l’alluvione. Famiglie evacuate non solo per quello che c’è stato, per il ciclone Cleopatra e i suoi 440 millimetri di pioggia piombati sull’isola in 24 ore, ma anche per quello che potrebbe esserci: nuovi smottamenti causati dal terreno che non riesce più ad assorbire l’acqua. Colpa anche del disboscamento selvaggio, ma questo non lo si dice mai. E si teme anche per la diga Maccheronis, a Torpé: ottanta milioni di metri cubi di acqua tenuti a monte da una muraglia. Le verifiche sono ininterrotte, ma intanto molti abitanti sono fuggiti.
Giusi Fasano, inviata del Corriere della Sera, ha visitato quei luoghi. Olbia, “che ha pagato il prezzo umano più alto”, con i suoi tredici morti.
“E adesso sembra una città con due facce. Da una parte le zone più devastate dal ciclone Cleopatra: file di lampeggianti accesi, carcasse di automobili ai bordi delle strade, fango ovunque, gente che prova a ripulire case, negozi, cantine, uomini in divisa che si agitano per tenere a bada un traffico ingovernabile e cercano di aiutare tutti. E poi c’è l’altra città, quella delle strade deserte e silenziose con le macchine che si muovono lente e sembrano imprigionate in una specie di labirinto”.
Per andare verso sud, verso la Barbagia o il Campidano, ci vuole oltre mezz’ora, tra strade chiuse per crolli e voragini.
A Torpè
“in Comune è stato allestito un centro per coordinare l’emergenza e per gestire la pre-allerta che significa in sostanza tenere sotto controllo costante la diga Maccheronis, ottanta milioni di metri cubi d’acqua tenuti a monte da una muraglia sulla quale si fanno verifiche statiche ininterrotte da 48 ore”.
Lunedì pomeriggio la pressione dell’acqua ha sbriciolato parte dell’avandiga (una paratia provvisoria), «ed è venuto giù del materiale, ma la situazione non è critica» valuta Roberto Lancedda, ingegnere dei vigili del fuoco. Vai a spiegarlo alle centinaia di persone che ieri mattina si sono mosse tutte assieme in preda al panico…”
Qualcuno ha lanciato un allarme inesistente. «Via, tutti via, sta venendo giù la diga». E le strade sono diventate un unico ingorgo, con gente che piangeva e bussava alle porte per avvisare gli altri della catastrofe imminente. C’è voluto il parroco per riportare la quiete, con un megafono dall’alto del campanile: «Tornate a casa, è tutto sotto controllo. Non è vero che la diga sta venendo giù».
E in questa devastazione arriva la generosità: gente che chiama in Comune per offrire cibo, vestiti, coperte, la propria casa di vacanza per gli sfollati.
Le ricetrasmittenti dei soccorritori gracchiano ininterrottamente. Annunciano smottamenti perché il terreno non riesce più ad assorbire acqua, famiglie evacuate dalle parti di Galtellì (Bassa Baronia), e il solito elenco di strade da non imboccare per raggiungere i paesini interni. Per esempio Bitti, 545 metri sul livello del mare e una lunga e tortuosa stradina di montagna per arrivarci senza incappare in nessun ostacolo. La piazza principale è transennata con il nastro bianco e rosso rimasto lì da lunedì «quando non assomigliava nemmeno più a una piazza perché era un tutt’uno con la strada» dice Giovanni Demontis. Al bar raccontano tutti del povero Giovanni, uno del paese che lunedì pomeriggio, quando ha visto la piena arrivare, è salito sul tetto di casa assieme a suo figlio: «È arrivata l’onda grossa e ha buttato giù tutto, la casa gli è sparita sotto i piedi e il figlio l’ha visto scomparire fra acqua e macerie». È ufficialmente disperso.
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