Scacchi a Imperia. Italiano fenomeno? No! Baro con videocamera

Arcangelo Ricciardi, scacchista baro con l'alfabeto morse
Arcangelo Ricciardi, scacchista baro con l’alfabeto morse

IMPERIA – Un illustre sconosciuto si presenta a un torneo di scacchi con maestri internazionali a Imperia e inizia a vincere una partita dopo l’altra. Ne vince otto di fila, tutte con avversari molto più quotati di lui. Le vince tutte allo stesso modo: rimanendo imperturbabile, seduto davanti alla scacchiera, sguardo assente, pollice sotto l’ascella. Arcangelo Ricciardi, purtroppo, non era un nuovo fenomeno degli scacchi. Era un baro.

Racconta su La Stampa Paola Italiano che Ricciardi, semplicemente, era assorto perché stava decifrando dei segnali in codice morse. Aveva inventato un trucco geniale che mescolava nuovissima tecnologia e il vecchio codice. Un ciondolo con dentro una microcamera con cui riceveva istruzioni sulla mossa da fare che poi decifrava con il codice morse.

E’ stato pizzicato da un arbitro grazie a un metal detector. Troppo sospetto Ricciardi. Gli scacchi non sono un gioco che consente exploit improvvisi. Non diventi un fenomeno in pochi giorni. E soprattutto: se vinci ti fermi a commentare le mosse. Lui non poteva farlo. Semplicemente non sapeva perché faceva quelle mosse. Racconta Italiano:

«In quarant’anni, non avevo mai visto una cosa del genere». Jean Coqueraut, arbitro internazionale di scacchi, ancora non ci può credere. È stato lui, principale giudice di gara, ad espellere Arcangelo Ricciardi dal torneo di Imperia, dopo averlo sorpreso con un complicato marchingegno addosso grazie al quale riusciva a riprendere la partita e a farsi suggerire le mosse da un complice collegato a un computer. E a sbaragliare, uno dietro l’altro, maestri molto più quotati di lui, modesto giocatore. Ma Coqueraut aveva capito fin dalle prime partite che il trucco c’era. «Me la sta facendo sotto il naso, non è possibile. Non ci dormivo la notte, dovevo fermarlo».

(…)

«Continuavo a guardarlo. Stava sempre seduto, non si alzava mai. Molto strano, parliamo di ore e ore di gioco. Soprattutto, aveva sempre le braccia conserte, il pollice sotto l’ascella, non lo toglieva mai. E sbatteva gli occhi in modo innaturale, come se non fosse concentrato sulla scacchiera, ma perso in qualche altro pensiero. Poi ho capito: stava decifrando dei segnali in codice morse. Punto linea, punto linea. Ecco cos’era». Proprio così: il sofisticato sistema che ha permesso a Ricciardi di superare otto turni pare che sia un misto di tecnologia modernissima (uno «spy-ciondolo» con microcamera) e di invenzioni (come il celebre alfabeto), di quasi due secoli fa. Tenute insieme da un groviglio di fili sotto la canotta degno di Archimede Pitagorico.

«E poi c’era un’altra cosa: beveva spessissimo e in continuazione si passava un fazzoletto sulla faccia. Entrambi, acqua e fazzoletti coprivano il ciondolo con la microcamera: doveva essere un segnale per il complice, un sollecito ad affrettarsi a suggerirgli la mossa, perché il tempo stava scadendo». Fuori da ogni etichetta di questo sport è poi il fatto che Ricciardi a fine partita fuggiva subito, non si fermava per il confronto di rito ad analizzare le mosse: «E come avrebbe potuto? Non sapeva quello che faceva».

Coqueraut ha tentato di smascherarlo una prima volta: «Ho fatto svuotare a tutti le tasche. Niente. Gli ho chiesto di aprire la camicia, ha rifiutato minacciando denunce». La svolta è arrivata con la lettera-denuncia di quattro giocatori: «La notte non ho dormito – dice l’arbitro – e alle sei del mattino ho chiamato gli organizzatori: dovete mettere un metal detector». Che continuava a suonare quando passava Ricciardi anche se aveva tolto dalle tasche la moneta da 5 centesimi che diceva essere il suo amuleto. Ha detto la stessa cosa del ciondolo e poi dei fili attaccati al corpo e poi della scatola di 4 centimetri che teneva sotto l’ascella e che presumibilmente riceveva i segnali.

 

Gestione cookie