ROMA – Scuola, ogni anno 50 mila studenti in meno: questa la media degli ultimi quattro anni scolastici (dal 2015/2016 al prossimo 2.019/2.020). Quattro anni e per la precisione 188.583 alunni in meno. Con una tendenza a crescere dell’ammanco di studenti in classe: per il prossimo anno già conteggiati 70 mila in meno.
Succede, banalmente, per riflesso scolastico della massiccia e ignorata demografia. Massiccia nella sua denatalità. Pochi figli, ogni anno più morti che nati. Per mantenere il livello numerico della popolazione la media dovrebbe essere di due figli a coppia (anche qualcosa in più). Nei fatti si registra una media di 1,2 figli. Quindi meno figli comporta meno alunni.
Meno alunni praticamente in tutta Italia, ma soprattutto al Sud. Record negativo alla Basilicata, si salva solo L’Emilia. Insomma tutte le Regioni registrano denatalità e quindi classi che si svuotano. Ma le scuole al Sud si svuotano più di tutte. Calabria, Puglia, Campania…il Sud perde il 70 per cento dei circa 200 mila in meno in quattro anni.
Eppure è proprio in queste classi al Sud, sempre più vuote, che vogliono andare gran parte dei prof andati in cattedra. Sono molto spesso di origine meridionale e vogliono tornare a casa o vicino casa. Il sindacato li incoraggia, il governo non li scoraggia, il ritorno a casa è vissuto dai prof come obiettivo, anzi diritto. Ma al Sud sempre meno studenti e quindi meno classi. Provocatoriamente qualcuno ha detto: che si fa, deportiamo gli alunni al Sud?
Neanche il paradosso della deportazione alunni risolverebbe, il calo della popolazione scolastica è nazionale. tale da porre un problema dalle dimensioni e caratteristiche decisamente superiori allo spessore e alle consuetudini della vita pubblica italiana (governo, partiti, sindacati, opinione pubblica, informazione). Il problema è: che ci si fa con un milione circa di prof (in aumento numerico) per platea di alunni che cala di 50 mila l’anno?
Il sistema pensa e lavora a mettere in cattedra (magari con concorsi resi facilissimi, esami formali e tenui, sostanzialmente per anzianità di precariato). E questo è logico e conseguente se si concepisce e usa la scuola come servizio a chi ci lavora, insomma come ammortizzatore sociale anti disoccupazione. Non ha però senso avere tanti e non particolarmente pagati e qualificati prof mentre non ci si avvia ma già si è in una dimensione di calo degli alunni. Se la scuola fosse per loro, per gli studenti e per la loro reale formazione, si andrebbe verso meno prof, più qualificati, aggiornati, impegnati e pagati. Esattamente quello cui nessuno pensa, tanto meno lavora.
Fonte La Stampa