Scuola prima del Covid, un 18enne su tre parla male, conta peggio. E dopo... Scuola prima del Covid, un 18enne su tre parla male, conta peggio. E dopo...

Scuola prima del Covid, un 18enne su tre parla male, conta peggio. E dopo…

La scuola prima del Covid: un diciottenne italiano su tre legge male, scrive peggio e sempre uno su tre non sa far di conto. E’ la fotografia, drammatica, dei giovani studenti italiani. Fotografia scattata nel 2019, prima del coronavirus,
della chiusura delle scuole, della Dad e delle quarantene. Quale sarà l’immagine che immortalerà la prossima istantanea, l’Italia non sembra nemmeno domandarselo.

Scuola prima del Covid, peggio al Sud

Secondo le ultime rilevazioni Invalsi, risalenti al 2019, “un maturando su quattro possiede capacità linguistiche scadenti o molto scadenti. E in matematica uno su tre non arriva alla sufficienza”. Un ritardo che colpisce il Sud molto più del Nord e gli istituti tecnici e professionali più dei licei. Ma il dato nazionale, al netto dei distinguo, rimane quello di un 25% di maturandi che fatica a comprendere quel che legge e difficilmente riesce a spiegarsi attraverso le parole scritte e di un 33% che non ha la sufficienza in matematica, non è in grado cioè di fare dei conti anche non complessi e che faticherà a capire quanto avrà pagato una singola mela dopo averne comprato un cesto.

I dati citati sono vecchi, è vero. Le prove invalsi lo scorso anno non sono state fatte. E non sono state fatte perché le scuole, nel periodo in cui abitualmente si svolgono questi test, erano chiuse. Ecco perché è difficile sperare che i prossimi dati che arriveranno, quelli del 2021 si spera, siano migliori di quelli passati. Difficile sperarlo perché, appunto, la scuola anzi le scuole erano chiuse.

Un anno zoppo a scuola

Nel 2020 come sappiamo tutti sin troppo bene le scuole di ogni ordine e grado hanno chiuso i battenti a marzo, con l’arrivo della pandemia. Metà anno scolastico 2019/2020 è stato quindi zoppo. C’è stata la Dad, la didattica a distanza, con tutte le difficoltà e la deminutio educativa che ne è conseguita e che, in ogni caso, non è nemmeno arrivata a tutti.

E poi anche questa prima metà di 2020/2021, ancora Dad per moltissimi alle superiori, quarantene e conseguenti stop&go per tutti e classi divise, insegnanti cambiati, laboratori chiusi o a singhiozzo… Ingredienti che fanno temere che i numeri usciti dal 2019 saranno paradossalmente un traguardo da riconquistare. Triste riconquista perché oggi quasi uno studente su sei non raggiunge nemmeno il diploma di maturità. Per non parlare di quanti ci arrivano ma con una preparazione talmente scarsa che con il pezzo di carta ci fanno poco o nulla. Da qui il primato italiano di oltre 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano.

Cosa fare per la scuola in tempo di Covid?

Altrove, Regno Unito in primis, dove la situazione era migliore già in passato ma dove si è dovuti passare attraverso le stesse difficoltà, si prova a capire quale sarà la situazione domani e, cosa più importante, come rimediare. Da noi, in Italia, nemmeno questo. Il neo presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo discorso programmatico al Parlamento ha sottolineato l’importanza della scuola e la necessità di tornare a garantire a tutti la possibilità di seguire le lezioni in presenza e ad un ‘normale’ diritto allo studio. A lui è al suo neonato governo va concesso il beneficio del dubbio in virtù del tempo: è appena arrivato a palazzo Chigi e ancora non ha avuto fisicamente tempo di mostrare quale sarà la sua impronta sulla materia, se ci sarà.

Di certo sino ad oggi si è fatto poco o anzi nulla. Nulla per recuperare il tempo perso, anche per la contrarietà del variegato mondo dei lavoratori della scuola, né tantomeno per affrontare i mali antichi della scuola italiana, troppo presi a combattere con l’emergenza. Qualcosa però andrà fatto perché sennò, tra non molto, servirà qualcuno dall’estero che i dati Invalsi ce li spieghi.

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