Silvia che divenne Aisha. Conversione all’Islam e riscatto all’occidentale

di Lucio Fero
Pubblicato il 11 Maggio 2020 - 11:54 OLTRE 6 MESI FA
Silvia Romano che divenne Aisha. Conversione all'Islam e riscatto all'occidentale

Silvia che divenne Aisha. Conversione all’Islam e riscatto all’occidentale (Foto d’archivio Ansa)

ROMA – Silvia che divenne Aisha in un qualche momento dei lunghissimi diciotto mesi di prigionia. 

Silvia Romano ragazza, volontaria in Africa, partita da un paese dell’Occidente laico, secolarizzato o comunque cristiano. Silvia che divenne Aisha donna musulmana.

Silvia che divenne Aisha durante la prigionia. Silvia che divenne convertita all’Islam mentre era sotto custodia e prigioniera di uomini (forse anche donne) dell’Islam armato, militare e militante.

Silvia che divenne Aisha e non è solo e soltanto una conversione, un trovare una fede, una religione, un senso trascendente nel momento terribile forse profondo di una esistenza.

Silvia che divenne Aisha è qualcosa di più: l’Islam a cui la giovane Silvia si converte è particolarmente severo nei precetti di vita per le donne.

Donne considerate dall’Islam come portatrici di tentazione e quindi peccato. Donne quindi ontologicamente portatrici di impurità.

Donne da nascondere in casa, da nascondere alla vista, da controllare sempre da parte di un maschio della famiglia. 

Donne di proprietà dei maschi della famiglia che le hanno in custodia e di cui sono responsabili.

Donne che in parte non piccola dell’Islam fattosi Stato o chiesa in armi (Pakistan, Afghanistan, Yemen, Sudan, Somalia, Siria…) sono considerate e gestite come la più preziosa delle specie in allevamento domestico.

Valgono più di pecore, capre, maiali, mucche, cavalli. E il loro valore si ferma lì.

Donne che nella tradizione e cultura di molto, molto Islam è saggio e utile a scuola vadano poco o nulla.

Donne che nella immutabile e fissa per l’eternità scrittura e lettura del Corano (quello che Silvia-Aisha racconta di aver chiesto e ottenuto durante la prigionia) sono ciò che erano nella cultura e società di pastori nomadi del settimo secolo dopo cristo. E tali devono restare.

Donne quelle dell’Islam, quelle come l’Islam le vuole che sono non solo la diversità rispetto alla donna nella cultura e società occidentali. Donne come l’Islam le vuole che sono la negazione, l’antitesi della donna come l’Occidente la concepisce. 

La donna occidentale è per l’Islam un manifesto di impurità libera di rendere impuro il mondo. Convertirsi da donna all’Islam vuol dire accogliere questa visione, effettuare questo passaggio che non è da una religione all’altra, è da una scala di valori ad un’altra antitetica.

Vuol dire accettare il ruolo, la condizione, la natura di donna come elementi di impurità da mortificare. Il velo è questo: la pubblica mortificazione della natura di donna.

Silvia che divenne Aisha, conversione di sopravvivenza, conversione di espiazione, conversione da incontro con se stessa…Qualunque conversione sia, affari suoi, di Silvia che ora è Arisha.

Ma senza fingere di non vedere ciò che testimonia e attesta e dichiara questa conversione: la scelta di una fede religiosa che nega, ribalta, condanna i valori e le libertà che la cultura occidentale ritiene indispensabili perché le donne siano esseri umani proprio come i maschi.

Silvia che divenne Aisha, conversione affari suoi ma non è il percorso di Silvia Aisha assimilabile alla figura retorica di un Paolo folgorato dalle fede sulla via di Damasco.

Il messaggio sociale esplicito della fede cui Silvia-Aisha aderisce è ostile alle libertà civili del genere femminile e la fede islamica prova orrore rispetto all’idea, pilastro della nostre società occidentali, per cui chiesa e Stato, religione  e leggi son cose diverse e separate. Peccato e reato nell’Islam coincidono.

Silvia che divenne Aisha, conversione suo fatto privato. Proprio per questo non vi è alcun motivo di farne una eroina e martire e santa.

Addirittura della lotta alla criminalità internazionale come, in un effluvio di artificiali ed ebbre connessioni, fa Roberto Saviano. O come fa certa sempre intronata pattuglia di militanza tardo terzo mondista.

Su Silvia prigioniera era piovuta la pioggia sporca e acida di chi le schizzava addosso il fango del “se l’è voluta, andata a cercare”. Il file rancoroso di chi considera il volontariato in terra straniera una stravaganza, una sorta di vacanza snob.

Da questo Silvia andava difesa, ieri e anche oggi. Ma farne un modello e un campione di eroico impegno civile è perfino grottesco. Modello ed eroina di impegno civile una donna che sceglie il velo sui diritti civili delle donne e tale scelta rivendica?

Silvia che divenne Aisha, il riscatto pagato non son solo fatti suoi. 

Silvia che divenne Aisha è libera perché, secondo valori occidentali che la sua nuova fede non contempla, per la sua vita è stato pagato un riscatto.

Riscatto all’occidentale per una vita che sceglie di proseguire sotto il segno della fede islamica.

E’ l’Occidente che considera la salvezza di una vita umana pagabile con un riscatto. E’ un valore occidentale quello che ha salvato la vita a Silvia che divenne Aisha.

Cittadini, opinione pubblica, politici, intellettuali, gente nota e ignota che firma appelli, sollecita e chiede la liberazione dei rapiti e quindi ostaggi (ovviamente anche di Silvia Romano) è questo quel che chiede: che sia pagato per loro un riscatto.

E la gran parte dei governo dell’Occidente è questo quel che fa quando ottiene una liberazione: paga il riscatto.

Al netto della farisaica indignazione alla Giorgia Meloni (“Mai si debba pensare si paghino riscatti” è questo quel che fa l’Occidente quando vuole salvare una vita minacciata da coloro che non disdegnano decapitazioni in video.

L’Occidente paga riscatti perché considera una vita umana bene prezioso. Forse viziato dalla sua opulenza, l’Occidente non sta lì a prezzare quanto vale una vita. Paga riscatto, perfino gli Usa che lo fanno molto di rado ma lo fanno anche loro.

Quindi il riscatto per Silvia che divenne Aisha non son solo fatti suoi, son fatti nostri. E non solo e non tanto per la in fondo meschina curiosità se sian stati tre o quattro milioni o solo un paio. E neanche per la livorosa lagna del son soldi dei contribuenti.

Il riscatto pagato per Silvia che divenne Aisha son fatti nostri perché un riscatto secondo cultura dell’Occidente salva la vita e dà la libertà ad una donna che la cultura dell’Occidente dice di voler abbandonare e ripudiare. Una prova della superiorità etica e civile della cultura dell’Occidente, per questo quel riscatto son fatti nostri.