X

Silvio Fanella ucciso: rapimento finito male per “bottino” truffa Fastweb

di admin |4 Luglio 2014 11:48

(Foto Ansa)

ROMA – Silvio Fanella è stato ucciso in un tentativo di rapimento finito male. Per gli inquirenti non si tratta dunque di un esecuzione quella di Fanella, ucciso il 3 luglio nella sua casa alla Camilluccia, a Roma. Già nel 2012 Fanella, considerato il cassiere di Gennaro Mokbel, era stato vittima di un tentativo di rapimento. In quell’occasione i rapitori speravano di ritrovare il “bottino” da 50 milioni di euro della truffa Fastweb.

Ad avvalorare la tesi del tentativo di sequestro è stato il ritrovamento, nell’appartamento teatro dell’omicidio, di una sacca contenente fascette e cerotti: tutti strumenti di norma utilizzati per effettuare un rapimento.

Secondo una prima ricostruzione, i tre avrebbero detto al citofono di essere della Guardia di Finanza. Una volta entrati nell’appartamento di Fanella sarebbe nata una discussione, confermata da un testimone, poi degenerata nella sparatoria. Chi indaga è convinto che intenzione degli assassini era sequestrare e torturare Fanella per ottenere da lui informazioni in merito al tesoro in suo possesso, di cui parte rinvenuta in una sua casa a Pofi, in provincia di Frosinone-.

Sara Menafra sul Messaggero scrive che già due anni fa tentarono di rapire Fanella, che cambiò casa e quartiere:

“un rapimento, probabilmente finalizzato a far confessare al cassiere dell’organizzazione di Gennaro Mokbel un segreto che non aveva voluto dire a nessuno. Dove sia finito il tesoro della truffa Fastweb che, al netto di confische e restituzioni dell’Iva da parte delle compagnie telefoniche coinvolte, potrebbe ammontare ancora a circa 50 milioni di euro di cui 26 in diamanti”.

Fanella infatti era considerato il cassiere di Mokbel, tanto da essere condannato a 9 anni di reclusione per l’inchiesta sulla truffa TTelecom Sparkle, con Mobkel che lo definiva “il mio pupillo”:

“«Si attivava personalmente per affittare cassette di sicurezza, ove occultare i proventi dell’attività illecita. Si attivava unitamente ad altri sodali, per effettuare il riciclaggio delle attività illecite anche attraverso l’acquisto di diamanti che venivano occultati ad Hong Kong, parte dei quali venivano trasportati in Italia»”.

Proprio Fanella, secondo le indagini di allora, era colui che gestiva i soldi e dava le indicazioni su dove e come spostarli e faceva da tramite con Marco Toseroni, scrive il Messaggero:

“Oltre a Toseroni, Fanella lavorava a stretto contatto con gli altri due uomini più vicini a Mokbel. Il primo è Augusto Murri, amico soprattutto della moglie del capo ma poi finito nel cono d’ombra. Nel corso dell’indagine si era pentito e un paio d’anni fa è stato trovato morto apparentemente per un suicidio le cui cause non sono mai state chiarite. L’altro fidato è Roberto Macori: aveva il compito di accompagnare il senatore del Pdl Nicola Di Girolamo in Germania per concordare la sua elezione con voti provenienti dalla ’ndrina degli Arena”.

E il mandante del precedente rapimento sarebbe stato proprio Macori, scrive la Menafra riportando il Quotidiano del Sud:

“A salvare Fanella l’«insistente presenza di forze dell’ordine nelle adiacenze dell’abitazione del soggetto da sequestrare», scrivevano i Carabinieri del Ros di Potenza. Siamo nel 2012 e Roberto Macori assolda un ex compagno di galera, Giovanni Plastino, per rapire Fanella. E’ Plastino a raccontare al telefono il movente dell’azione: «Io li devo far parlare a quelli, lo devo menare e devo stare insieme con loro quando vanno a prendere i soldi, io devo vedere quando prendono i soldi compare»”.

Appare poi sospetto il ruolo dei finanzieri, veri o camuffati che fossero:

“«State insieme a un capo, insieme a un comandante della Finanza oh! Poi quando arrivate più avanti vi mettete il cappuccio e lo tenete con la testa abbassata e lo tenete tutti e due, ed è fatto, io vi aspetto là, come arrivate là»”.

Un particolare che riappare anche nell’omicidio del 3 luglio:

“almeno due uomini del commando che ha bussato alla porta di Fanella fingendo un controllo vestivano la divisa delle Fiamme gialle. E in questo giallo delle coincidenze ce n’è persino un’altra che gli investigatori della Squadra mobile non dimenticano. Tra i membri dell’associazione a delinquere finita agli arresti nel 2010 c’era anche Luca Berriola, ex maggiore della Guardia di finanza”.

(Foto LaPresse)

Scelti per te