Simonetta Cesaroni, riaperta l’indagine sul delitto di Via Poma. Un nuovo sospettato, 32 anni fa furono…

Nuove verifiche e accertamenti, nuove audizioni per arrivare, dopo 32 anni, ad una verità: si riapre il caso di Simonetta Cesaroni, uccisa con 29 coltellate il 7 agosto del 1990 in via Poma a Roma. Da alcuni giorni, infatti, i pm stanno ascoltando una serie di testimoni, tra cui l’allora dirigente della Squadra Mobile. Tra gli inquirenti la cautela è massima ma le nuove indagini riguarderebbero un sospettato che già all’epoca dei fatti finì nel mirino degli investigatori.

Il suo alibi, a distanza di oltre trent’anni, potrebbe essere smentito da nuovi elementi che verranno raccolti dai magistrati per cercare di dare una identità a chi quel pomeriggio si accanì sul corpo di Simonetta. I legali della famiglia Cesaroni al momento non commentano il nuovo sviluppo giudiziario mentre dal canto suo l’avvocato Paolo Loria, difensore di Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni e assolto in via definitiva dall’accusa di omicidio, non nasconde la sua “soddisfazione”.

La storia del delitto di Via Poma

I fatti risalgono ad una torrida giornata di agosto, Roma deserta. In uno stabile di via Poma, nel cuore del quartiere Prati, viene brutalmente assassinata Simonetta Cesaroni. Da quel giorno sono trascorsi 32 anni in cui investigatori, magistrati e forze dell’ordine hanno cercato di dare un nome e un volto alla persona che sferrò le coltellate. Un dedalo infinito di ipotesi, di sospetti: una galleria di personaggi che si sono avvicendanti sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti. Il 7 agosto del 1990 nell’ufficio dell’Associazione alberghi della gioventù viene trovato il corpo della ragazza. Il cadavere è trovato per l’insistenza della sorella Paola, preoccupata per il suo ritardo. Simonetta è nuda, ma non ha subito violenza. Secondo l’autopsia è morta tra le 18 e le 18,30.

I primi sospettati per il delitto di Via Poma

Pochi giorni dopo, il 10 agosto, viene fermato dalla polizia, Pietrino Vanacore, uno dei portieri dello stabile. Su un suo pantalone vengono individuate alcune macchie di sangue ma non è di Simonetta. L’uomo viene scarcerato dal tribunale del Riesame il 30 agosto. Gli inquirenti cercano sia nella cerchia di amicizie della ragazza, a cominciare dal fidanzato di allora, sia negli ambienti di lavoro. Il pm Pietro Catalani, dopo alcuni mesi di indagini, chiede l’archiviazione della posizione di Salvatore Volponi, datore di lavoro della Cesaroni. Il 26 aprile del 1991 il gip archivia gli atti riguardanti Pietrino Vanacore e altre cinque persone. Il fascicolo resta aperto contro ignoti.

Trascorre circa un anno, il 3 aprile del ’92 viene inviato un avviso di garanzia al nipote di un architetto che abita nel palazzo di via Poma e che la notte del delitto ha ospitato Vanacore. Viene tirato in ballo dalle dichiarazioni dell’austriaco Voller, amico della madre dell’architetto, secondo il quale dai racconti della madre sarebbe emerso che il figlio tornò sporco di sangue da via Poma. Il 16 giugno 1993 il gip proscioglie il figlio dell’architetto per non aver commesso il fatto e Vanacore perché il fatto non sussiste.

Il fidanzato e le assoluzioni

L’indagine entra in una lunga fase di stallo. Nel settembre del 2006 vengono sottoposti ad analisi i calzini, il corpetto, il reggiseno e la borsa di Simonetta. Il colpo di scena arriva con i risultati delle analisi effettuate dai Ris: sugli indumenti della ragazza, grazie a sofisticate strumentazioni, vengono rilevate delle tracce di saliva dell’ex fidanzato Raniero Busco. Il 3 febbraio del 2010 inizia il processo a carico dell’ex ragazzo che vive anche di nuovi colpi di scena: il 9 marzo, a pochi giorni dalla sua prevista deposizione, si toglie la vita Pietro Vanacore. Giallo nel giallo di un omicidio che ha tenuto banco nella cronaca giudiziaria italiana per sei lustri. 

L’ultima vicenda giudiziaria risale al febbraio del 2014 con la pronuncia della Cassazione che ha confermato l’assoluzione per Busco, l’ex fidanzato dell’allora 21enne, che in primo grado era stato condannato a 24 anni di carcere. Verdetto ribaltato già in appello.

 

Gestione cookie