ROMA – Sindacalista, della Fismic per l’esattezza. Della Fismic a Melfi stabilimento Fca (una volta Fiat), qualunque cosa sia la Fismic laggiù. Sindacalista cugino di un signore che conosce una signora…I due sono ad una normalissima cena e parlano del più e del meno. Il più è il figliolo della signora che non ha lavoro e il signore le propone, suggerisce, offre: ho un cugino sindacalista a Foggia…
Il cugino sindacalista, viene spiegato alla signora, ha in mano un pacchetto (non si sa quanto piccolo o grande), insomma un lotto di assunzione in azienda. Fca deve fare mille assunzioni e il cugino, insomma…può. Successivi appuntamenti e incontri portano all’accordo definitivo: qua l’assunzione e qua 4.000 euro. Duemila subito e duemila ad assunzione effettiva. I quattromila nel corso della vicenda diventeranno 4.8oo perché, si sa, ci sono state spese impreviste, succede sempre. Le spese impreviste nel caso in specie sono il periodo di assunzione “interinale”, insomma non a tempo indeterminato che per qualche incomprensibile motivo vanno pagate a parte.
Comunque la simpatica transazione va a buon fine, il figliolo viene assunto e il papà del ragazzo mette in apposita busta i quattromila e li consegna al solerte sindacalista. Però, però…la Fca che nulla c’entra e nulla sa né della transazione né della busta né del mercatino di posti di lavoro che sindacalisti gestiscono, dopo un anno di prova licenzia il ragazzo.
E qui la vicenda diventa italianamente grottesca oltre ogni limite, nessuna sceneggiatura di Checco Zalone può tenere infatti il passo con la realtà. La famiglia che ha pagato perché il figlio fosse assunto si sente truffata. Truffata secondo la logica io ho pagato, mi spetta. Fa nulla se ha pagato perché qualcuno aiutasse, a pagamento appunto, suo figlio a fregare gli altri. Comunque si sente talmente truffata la famiglia che va da un avvocato.
E un avvocato in questa terra di follie va da un giudice a reclamare il buon diritto della famiglia che insomma sì, avrà pure smazzettato ma ha pagato, si è comprata il posto di lavoro e ora non ha più la merce che ha comprato.
E due magistrati in questa terra di follie ci pensano sopra e decidono che la famiglia non è stata truffata perché lo sapevano bene che stavano pagando una “intermediazione”. Dice la giustizia interpellata che la famiglia non è stata truffata e che il sindacalista, in associazione col parente mediatore, non è un truffatore. Fine, stop, arrivederci, in questa terra di follie la giustizia si ferma qui come racconta su La Repubblica Paolo Griseri.
Non è un truffatore il sindacalista che si è venduto il posto di lavoro a 5.000 euro. Anzi è un signore suscettibile che si indigna, produce comunicati a difesa dell’onore suo e del suo sindacato. Comunicati e parole in cui ammonisce il vescovo locale, Monsignor Todisco, a stare attento a quello che dice. Il vescovo infatti aveva detto in buona sostanza che in zona c’era chi si vendeva posti di lavoro.
Ma nella terra delle follie i posti di lavoro si possono vendere, è una attività, magari collaterale e magari no, di chi si dedica al sindacato e se i vescovi non capiscono la funzione sociale, peggio per loro. E la giustizia, stabilito che non c’è truffa ai danni del compratore mediante bustarella di posto di lavoro, se ne lava le mani con tale scioltezza che Ponzio Pilato era un dilettante. Insomma nella terra delle follie un sindacalista che vende un’assunzione per 5.000 euro in busta si può fare, ci sta. E’ questo l’immorale della favola (che purtroppo favola non è ma cronaca).