ROMA – Oltre allo spettro esodati, un altro fantasma preoccupa i sindacati e non solo: è quello della cassa integrazione nel pubblico impiego. Il leader della Cgil, Susanna Camusso, ha spiegato: “Gli annunci sulla spending review ci stanno preoccupando. Non vorremmo che nel governo ci fosse la tentazione di fare cassa subito tagliando le retribuzioni e i dipendenti pubblici”.
Il sindacato teme che, dopo la decisione del consiglio dei ministri di venerdì di tagliare gli organici della presidenza del Consiglio e del ministero dell’Economia (del 20% i dirigenti e del 10% il resto del personale), si passi agli altri ministeri e comparti della pubblica amministrazione, col metodo della riforma Brunetta. Che prevede un percorso inesorabile. Le singole amministrazioni dichiarano i lavoratori in esubero, questi finiscono in mobilità obbligatoria per 24 mesi, prendendo l’80% dello stipendio.
Al termine dei due anni, se il dipendente non è stato nel frattempo collocato presso un ufficio diverso (che ha bisogno di personale), viene licenziato. Una brutta partita da giocare perché, dicono i sindacalisti più vicini al dossier, al Tesoro sarebbe pronto un monitoraggio che quantifica in 276 mila gli esuberi. Dalla cui gestione, secondo la stessa legge Brunetta, il sindacato sarebbe tagliato fuori: niente trattativa, ma una semplice informativa.
In ogni caso i sindacati sono decisi ad opporsi duramente a questa manovra e chiedono al governo l’immediata apertura di un tavolo. Tanto più che il comunicato che sabato pomeriggio Patroni Griffi ha sentito la necessità di diffondere non è apparso per nulla rassicurante a Cgil, Cisl e Uil. “Riorganizzare anche in modo strutturale gli apparati per ottenere economie, ma anche efficienza – dice il ministro – È questo il principale obiettivo a cui stiamo lavorando. È importante che il personale pubblico si senta parte attiva di questo grande progetto che comporterà sacrifici”.