Sonia Alvisi è una cittadina che, tra l’altro, svolge attività politica nel Pd. Ha fatto una piccola-enorme cosa: ha pensato e quindi parlato da cittadina prima che da donna, ha contravvenuto all’abitudine, al dogma, al rito e alla liturgia sociali dell’identificarsi, definirsi e schierarsi per categorie o lobby o generi di appartenenza. Ha detto: se si subiscono molestie si deve sporgere denuncia, altrimenti si perde credibilità. Così ragiona e opera una cittadina consapevole dell’interesse generale, dell’architettura democratica dei torti e delle ragioni. Così non pensa e non opera la sindacalista di ogni causa, sia essa tra le peggiori o le migliori. Sonia Alvisi, cittadina prima che donna. Per questo fa, come usa dire, notizia. Perché è un esempio, un caso ormai raro. Per essere stata cittadina prima che donna desta sorpresa e sarà anche criticata e attaccata. Il pensare e comportarsi da cittadino/a invece che da militate-guardiano di uno dei segmenti o categorie sociali è in Italia considerato poco meno che tradimento.
Molestie, perché non diventi un talk-show
Le molestie dei maschi alle donne sono reali, diffuse, quotidiane. Non di rado pezzenti e miserabili. Sempre patetiche, talvolta violente. Quante? Incalcolabili. Dove? Ovunque. Autori? Maschi di ogni età, mestiere e territorio (in particolare maschi, per così dire, di popolo e veraci). Detto questo, Sonia Alvisi ha ricordato la donna molestata a denunciare. Denunciare alla Polizia, alla Magistratura, ai Carabinieri. Perché lo ha ricordato? Perché sta avanzando come comportamento la denuncia ad altre “istituzioni”: la stampa, la tv, i social. Denunce che in questi casi quasi sempre restano anonime e generiche. Altisonanti sì ma non circostanziate. Buone per i processi in tv, ottime per un gigantesco talk-show nazionale. A misura di opposte chiacchiere recitata dove i fatti non sono in par condicio con le parole. Sonia Alvisi cittadina vuole siano individuati e puniti i molestatori, non sa che farsene del coro indignato contro le molestie. Sonia Alvisi, una caso, raro, di cittadinanza.
A che ora apri le gambe?
Per nulla rari sono invece i casi di maschi prima che uomini. Quelli che si sentono maschi quando alla ragazza che sta al bar o alla cassa sbavano addosso la domanda: “a che ora apri le gambe?”. Pensano sia approccio spavaldo, è solo bava. Quelli che sbarrano il passo alla donna, mimano baci, simulano rantoli erotici…maschi prima che uomini. Non rarissimo che chi così metta in piazza la sua mascolinità sia anche espositore di…millantato credito: virilità troppo esibita talvolta è indice, al dunque, del contrario. Di certo i maschi prima che uomini, figurarsi poi quanto lontano dall’essere cittadini, sono molesti e non galanti, prepotenti e non goliardi. Questa poi della goliardia…è finita un bel po’ di decenni fa. E’ rimasta solo come categoria/alibi posticcio per ogni schifezza fatta o detta. Insomma i maschi prima che uomini sono uomini piccoli piccoli. Di certo sono tanti, troppi. Caleranno di numero quando faranno schifo non solo alle donne che molestano ma anche alla grande maggioranza degli uomini prima che maschi.
Alpini sì, alpini no
Poiché al ridicolo non c’è mai fine adesso arriva la richiesta di cancellare l’adunata nazionale degli alpini per due anni. Una squalifica? Si scrive di Daspo. In effetti c’è una mobilitazione delle “curve”, quella femminil-femminista e quella machista-virilista. Entrambe producono slogan, umori e pensieri smaccatamente ultra, cioè intollerabili a lume di ragione e civile decenza. Ma quel lume non c’è in chi si inventa gli “infiltrati” tra gli alpini e in chi racconta la falsa equazione: alpini-ubriachi-mani al sedere delle donne. Magari gli alpini in raduno dovrebbero essere un po’ più cittadini che alpini e prendere loro a calci in culo quelli del “a che ora ragazza apri le gambe”. E magari le associazioni che raccolgono i racconti delle donne dovrebbero avere concetti e valori di cittadinanza che le portino ad andare prima in un Commissariato e poi in una tv. Ma c’è carenza, anzi carestia di cittadinanza.