Stato-mafia, Palermo insiste: “Napolitano deporrà”. Il presidente: nessun problema

Stato-mafia, i giudici di Palermo insistono: "Napolitano va sentito anche dopo le sue spiegazioni"
Giorgio Napolitano

PALERMO – I giudici di Palermo insistono: il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sarà ascoltato come testimone al processo sulla trattativa Stato-mafia, anche dopo le sue spiegazioni.

Qualche ora dopo Napolitano, con una dichiarazione, spiega di non aver nessuna difficoltà a deporre:

“Prendo atto dell’odierna ordinanza della Corte d’Assise di Palermo. Non ho alcuna difficoltà a rendere al più presto testimonianza – secondo modalità da definire – sulle circostanze oggetto del capitolo di prova ammesso”.

La deposizione, chiesta dai Pm, era già stata ammessa, ma dopo la lettera inviata ai giudici da Napolitano, alcuni legali ne avevano chiesto la revoca.

Nella missiva Napolitano spiegava di non avere nulla da riferire sui temi del processo. Lettera che ai giudici di Palermo non basta perché, spiegano testualmente, “sono le domande a fare la differenza, non ciò che il teste crede di sapere”. 

Dopo quella lettera, l’Avvocatura dello Stato e i legali dell’ex senatore Marcello Dell’Utri avevano chiesto ai giudici di revocare la testimonianza del presidente della Repubblica. Oggi, la corte ha deciso: Napolitano testimonierà. 

In assenza di una norma specifica sulla deposizione del capo dello Stato, la Corte d’Assise applicherà l’articolo 502 del Codice di Procedura penale che prevede l’esame a domicilio del teste che non può comparire in udienza.

Alla testimonianza, di cui ancora non è stata fissata la data, non parteciperanno né il pubblico né gli imputati, ma solo i legali e la procura.

In particolare i giudici vogliono sentire Napolitano sulla lettera che gli venne inviata dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nel giugno di due anni fa. Dopo le polemiche sorte per le telefonate al Quirinale di Nicola Mancino, intercettato nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa, D’Ambrosio ribadiva la sua correttezza, ma esprimeva un timore sugli anni in cui la trattativa si sarebbe consumata.

Il timore “di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993”. In quegli anni, D’Ambrosio era stato in servizio all’Alto commissariaro per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia. 

 

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