ROMA – Luigi Naldini, direttore dell’Istituto Telethon del San Raffaele di Milano e presidente della Società europea di terapia genica, con una lettera pubblicata su Il Corriere della Sera ha risposto all’articolo firmato Adriano Celentano sul caso della piccola Sofia, bambina di tre ani e mezzo affetta da una malattia neurodegenerativa curabile solo con le staminali.
Ecco il testo integrale della lettera:
“Caro Celentano,
lei non mi conosce, ma sono certo che abbia sentito parlare della Fondazione Telethon, che dal 1990 sostiene la sfida dei ricercatori contro le malattie genetiche: un’organizzazione, voluta e sostenuta da quella stessa società civile a cui lei fa riferimento, che lavora seriamente realizzando valore e cercando nelle istituzioni la collaborazione e non il conflitto. Le scrivo, dopo aver letto la sua lettera, per mettere in guardia lei e soprattutto i malati, rispetto a promesse di cure miracolistiche se prive di fondamenti scientifici e per sottolineare l’importanza del rispetto delle regole fondamentali che sono state create a tutela dei pazienti. Per questo ho deciso di raccontarle la storia dei bambini affetti dalla leucodistrofia metacromatica, la stessa della piccola Sofia, che da molti anni sono seguiti dal centro che dirigo, l’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica. Luca, Pietro, Rosa… quando sono nati sembravano sani, ma già quando cominciavano a parlare e camminare hanno iniziato velocemente a regredire. Una delle cose più difficili del nostro lavoro è dire a un genitore che non c’è soluzione per la malattia di suo figlio. Nessuno ci insegna come farlo, dobbiamo trovarlo dentro di noi. Davanti all’incredulità di padri e madri, la tentazione di «provarle tutte» è forte: in quel momento scompaiono convegni, pubblicazioni scientifiche, si vorrebbe una bacchetta magica. Abbiamo a disposizione, invece, «soltanto» i nostri studi. Lavoriamo da oltre dieci anni cercando di correggere il difetto genetico che è alla base di questa malattia, grazie anche all’enorme sostegno di Telethon. Ci siamo confrontati spesso con la frustrazione di dire ai genitori che non eravamo ancora pronti, prendendoci la responsabilità di decidere se tentare o meno una terapia compassionevole. Nel caso di pazienti gravi come questi non si può provare il tutto per tutto perché «tanto non c’è altro da fare»: la loro vita vale sempre e il tempo che rimane è prezioso. Eppure seguire questi bambini è stato essenziale per capire la storia della malattia e disegnare uno studio clinico, che è iniziato nel 2010 e ha coinvolto otto bambini provenienti da tutto il mondo, paesi poveri e paesi ricchi. A tre anni di distanza i risultati sono incoraggianti: in una fase in cui ci saremmo aspettati di osservare i primi segni di deterioramento vediamo che stanno bene e crescono come i loro coetanei. Non ci azzardiamo a parlare ancora di cura, per questo serve tempo: sviluppare una terapia è un processo lungo e delicato, che coinvolge numerosi soggetti e richiede competenze diverse e risorse. Bisogna dimostrarne l’efficacia e la sicurezza, sotto il controllo delle autorità competenti (l’Agenzia italiana del farmaco, l’Istituto superiore di sanità, i comitati etici) e condividendo i risultati con la comunità scientifica. Regole che possono apparire fredde, ma che ci sforziamo di rispettare proprio per tutelare i pazienti ed assicurare il futuro sviluppo delle terapie se dimostrate sicure ed efficaci. Proprio su questi aspetti le società scientifiche continuano ad intervenire per assicurare l’adeguamento delle regole al veloce passo della ricerca ma anche per tutelare i pazienti attraverso una corretta informazione (per approfondimenti: www.telethon.it, www.isscr.org).
La saluto, caro Celentano, e la invito a venirci a trovare nel nostro Istituto di Milano, per toccare con mano quello che le ho raccontato”.
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