Terrorismo: chi è Manolo Morlacchi

Ha respirato rivoluzione fin dalla nascita Manolo Morlacchi, arrestato lunedì a Milano con l’accusa di far parte delle nuove Br. Il padre Pierino è stato infatti tra i fondatori delle Brigate Rosse: nel 1972, con Renato Curcio, Mara Cagol, Alberto Franceschini e Mario Moretti formò il primo Comitato esecutivo delle Br.

Anche la madre, Heidi Ruth Peusch, tedesca, aderì al gruppo terroristico e fu più volte arrestata. Entrambi i genitori sono morti. Il fratello Ernesto nel giugno scorso è finito tra gli indagati nell’inchiesta su un presunto gruppo armato che voleva fare un attentato alla Maddalena in occasione del G8, poi spostato all’Aquila.

È stato lo stesso Manolo, nato nel 1970, a ricostruire la storia della sua famiglia, una vera e propria saga di tre generazioni legate dal filo rosso del comunismo, nel libro “La fuga in avanti”, dal sottotitolo significativo: “La rivoluzione è un fiore che non muore”. Quest’ultima frase, ha raccontato Morlacchi, è apparsa su un muro di Milano in occasione del funerale della madre, nell’agosto del 2003.

Il libro è anche la storia di un quartiere popolare di Milano, il Giambellino, oltre quella di una famiglia, i Morlacchi, che ha attraversato tutte le fasi del movimento operaio del ventesimo secolo.

Dai bombardamenti di Milano nel 1944 all’ingresso nei partigiani, il nipote narra le gesta del nonno e dei suoi dieci figli. Con il padre che negli anni ’60 comincia ad allontanarsi dal Pci, accusato di aver smarrito la sua ispirazione rivoluzionaria.

Attraverso l’esperienza del Collettivo politico metropolitano, Pierino approda poi alla Br in un quartiere dove quest’esperienza era sostenuta e dove, ha ricordato Manolo, Curcio poteva tenere un comizio con un servizio di guardia armato a presidiare la piazza ed i poliziotti che si tenevano lontani.

«Esiste una sola storia della lotta armata in Italia – ha detto Manolo in un’intervista – e mio padre ne fece parte appieno dal 1970 a quando uscì di prigione nel 1986. Rimase impermeabile a ogni tentativo di alleggerire la propria condizione di prigioniero, senza cercare le scorciatoie della dissociazione o l’infamia del pentitismo».

Il libro rievoca anche l’infanzia dell’autore passata a visitare i genitori nelle carceri speciali, affidato agli zii insieme al fratello. Oggi è toccato a lui finire in manette.

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