Tessera punti fedeltà conviene…a chi vende: regalini in cambio di dati

Un supermercato nella foto d’archivio Ansa

ROMA – Una domanda agita gli italiani impegnati a far la spesa nei supermercati o a fare acquisti in qualsiasi altro luogo che non sia una quasi ormai scomparsa bottega: la tessera punti, conviene farla? Non che il quesito faccia parte degli interrogativi fondamentali dell’uomo tipo ‘perché siamo qui?’, ma visto che praticamente ogni esercizio commerciale e ogni catena, alla cassa o anche on line, ci chiede se abbiamo la tessera punti, il dubbio è legittimo. E la risposta è sì, conviene. Ma più che al cliente conviene al negozio.

In origine erano i talloncini da ritagliare e incollare – solo in un secondo momento sarebbero arrivati quelli autoadesivi – su una cartella fornita per lo più dal supermercato di quartiere. Raccolte che riconsegnate in cassa davano diritto ad uno spremiagrumi, alle tovagliette per la tavola ed altre amenità varie più o meno legate alla cucina. Spesso erano gratis, bastavano i talloncini, altre volte bisognava aggiungere qualcosa. Allora erano lire.

Poi come tutte le cose anche la fidelizzazione dei clienti e le raccolte punti si sono evolute. Dalla colla e talloncini si è passati alla card elettronica e all’account on line dove raccogliere punti. I punti ora non arrivano più solo dal latte e dal supermercato, anche se il settore è sempre in prima linea, ma quasi da qualsiasi acquisto. E non è raro trovare raccolte che mettono insieme brand diversi. E’ il progresso, certo. Ma c’è stato anche un altro piccolo cambiamento, pressoché impercettibile per i consumatori ma molto importante per chi vende: la fidelizzazione è diventata profilazione.

Se un tempo infatti il supermercato ci prometteva lo spremiagrumi per indurci a tornare a far la spesa da lui, oggi chi mette sul piatto regali e sconti lo fa perché in cambio otterrà i nostri dati. Attraverso le varie fidelity card o i profili on line le aziende sono in grado di costruire un quadro dettagliato delle abitudini di acquisto dei propri clienti: a che ora vanno a fare la spesa, cosa comprano, come pagano, quanto sono sensibili alle promozioni. Informazioni sulle cui basi possono definire, o ridefinire, le proprie strategie per tentare di incrementare il loro giro di affari.

Merce preziosa per le aziende che noi consumatori, spesso e non solo attraverso le raccolte punti, svendiamo. Mettendo da parte il costo dei nostri dati, il modo più semplice per capire se una raccolta punti offre premi convenienti è verificare quanto viene valutato concretamente il premio. Nella catena Esselunga ad esempio 3.000 punti equivalgono a un buono spesa da 27 euro: 27 diviso 3000 uguale 0,009. Un punto Esselunga vale 0,009 euro. Così, se per una macchina per il caffè espresso servono 8.200 punti, possiamo tradurli in euro. E il risultato è 73,8 euro. Se quindi vorremmo quella macchinetta sapremo che la staremo pagando circa 74 euro e, confrontando il prezzo più basso a cui è disponibile quel prodotto sul mercato, sapremo se il premio è vantaggioso o meno e se quei punti conviene ‘investirli’ così o conservarli per un’occasione migliore.

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