Coronavirus Test sierologici, i laboratori privati: "Se vuole non informiamo la Asl" Coronavirus Test sierologici, i laboratori privati: "Se vuole non informiamo la Asl"

Test sierologici, i laboratori privati: “Se vuole non informiamo la Asl”

ROMA – I laboratori privati che effettuano i test sierologici non sono tenuti a informare le Asl sui risultati dei pazienti.

O almeno non tutti, non dappertutto. Fatto sta che c’è un modo per evitare che i risultati siano comunicati alle Asl di competenza.

Prima di fare il prelievo, il paziente deve firmare un modulo in cui esprime chiaramente se dà il consenso (oppure no) affinché i risultati siano comunicati alla Asl.

Eppure sia il ministro della Salute che i virologi ritengano che il sierologico possa essere un primo strumento utile per tracciare chi è stato a contatto col virus: una sorta di anagrafe per capire quanti asintomatici o pauci sintomatici possano esserci stati effettivamente in Italia (aldilà dei numeri ufficiali sui ricoverati, i decessi e i contagi conclamati).

Ne parlano su La Stampa Filippo Femia e Nicola Pinna.

Ma perché una persona non dovrebbe voler informare la Asl? Perché nel caso in cui risulti positivo, scatterebbe la quarantena obbligatoria in attesa del tampone.

Chiariamo: essere positivi al test sierologico non vuol dire avere il Coronavirus nel momento in cui si effettua il test.

Vuol dire avere sviluppato gli anticorpi del Covid, quindi aver contratto il virus nelle settimane passate. Per essere certi di avere il virus ancora in circolo bisognerebbe essere positivi al tampone.

Ma nell’attesa tra il test, il tampone e i risultati del tampone, la Asl è obbligata a mettere in quarantena il positivo (e tutti i suoi familiari o chiunque risulti essere stato in contatto con lui).

Un grosso fastidio, perché questo vuol dire che il positivo (al test) e chi gli sta vicino non può andare al lavoro, non può uscire e deve tornare in Fase 1 del lockdown.

Mentre invece chi effettua il sierologico vorrebbe proprio una sorta di patente di immunità (utilizziamo questa espressione, anche se impropria), in modo da essere più tranquillo in fase 2, fase 3 etc. Perché, se il Covid si comporta come gli altri virus, un eventuale contagio di ritorno si dovrebbe manifestare in forma più blanda.

L’articolo de La Stampa racconta come funziona presso alcuni laboratori privati:

“Se preferisce che non informiamo la Asl basta non firmare il consenso alla segnalazione prima del prelievo. E comunque noi preferiamo inviare direttamente al paziente il referto. Poi sta a lei decidere”.

E poi ancora:

“Il nostro unico obbligo è fornirle un numero verde da chiamare. Entro 48 ore le faranno un tampone. Ma è a sua totale discrezione”. (Fonte La Stampa)

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