Nulla di più straziante, inaccettabile, incompatibile con la vita che la morte di un figlio. Lo dicono coloro cui la sorte infligge questa pena senza pause e tregue, questa sofferenza letteralmente infinita nel tempo e incommensurabile nella sua disperazione. Anzi, provano a dirlo, provano perché in realtà è un indicibile. Qualcosa di fronte alla quale la parola umana si spezza, si frantuma. E, per cercare di dire l’indicibile e vivere l’invivibile, si dice che la morte del figlio o della figlia è per i genitori evento contro natura, contro il corso naturale delle cose. Ieri due genitori hanno vissuto l’invivibile.
Tommaso, che solo a pensarci…
Ti viene un groppo in gola, solo a pensarci a Tommaso. Non lo conoscevi, nulla sapevi e mai avresti saputo della sua esistenza. Ma la sua esistenza finita, cancellata, stroncata, spenta mentre gioca nel cortile di un asilo al solo pensarci ti dà una frazione microscopica della vertigine di dolore invivibile dei genitori. Portato all’asilo, magari tenuto per la manina a dargli insieme sicurezza e affetto e ora la tua mano di genitore ti appare ancora scaldata di quella vita che già non più, definitivamente, scalda la vita di Tommaso. Senti la tua mano e non puoi crederci, di sicuro in camera di Tommaso c’è qualcosa di suo che ha appena lasciato lì, qualcosa che attenderà invano il ritorno di Tommaso, in quella camera non puoi, non vuoi andare. O forse sì, vuoi andarci a precipitarti nell’illusione feroce che non sia successo, a chiedere, implorare alle cose di Tommaso testimonianza, falsa testimonianza che Tommaso tornerà. Gli avevi preparato la merenda e la tua mente sotto torsione e tortura si fissa magari abbagliata e insieme intorpidita sulla domanda se l’abbia mangiata.
Il vuoto che ti risucchia la vita
Andare a rivedere cadavere il figlio che poche ore prima hai portato all’asilo: un vuoto abissale nello stomaco, nella mente, nel cuore, nell’anima e nel corpo. Un vuoto che ti risucchia la vita. Non deve essere dolore, enorme dolore, tremendo dolore. Il dolore non basta a dire di questo vuoto. La vita perde senso, utilità, ragione, dignità. Diventa una vita dalla quale vuoi essere esentato. La memoria diventa tortura, la mente urla la domanda che non ha risposta: perché, perché Tommaso? E implacabile la tortura suppletiva del se…Se un qualche piccolo scarto qua e là della giornata, l’ultima di Tommaso, non avrebbe potuto deviare la traiettoria della morte. E l’immagine, plausibile e ricorrente, di Tommaso che muore mentre gioca. Intollerabile alla mente eppure la mente non sa rinunciarvi.
L’altra mamma
E poi c’è l’altra mamma, quella la cui auto ha ucciso e ferito, schiacciandoli, i compagni di asilo di tuo figlio. Una leggerezza, una distrazione, una superficialità, uno sbaglio che ti hanno fatta non certo una assassina ma una causa di morte sì. Da un tuo fare o non fare qualcosa parte una catena di eventi di cui non porti tutta la responsabilità, non di tutta la sequenza no, ma che finisce con la morte di un bambino e con altri gravi in ospedale. Forse quella macchina parcheggiata in discesa, forse un errore parcheggiarla così. Ma può, si poteva mai pensare che un errore così mettesse in moto una catena di morte? Forse il sospetto che a togliere involontariamente il freno a mano sia stato l’altro figlio bambino lasciato in macchina. Bisogna proteggere questo bimbo incolpevole anche se eventualmente responsabile. Bisogna proteggere se stessa dalla nausea montante di aver causato sia pure indirettamente la morte di un bambino e il sangue di altri bambini. Bisogna proteggersi dall’auto assoluzione che potrebbe sconfinare e degradare e, insieme, dall’aggressione di un senso di colpa che vorrebbe anch’esso sconfinare e diventare ossessione.
La vita sfregiata dei sopravvissuti
In quell’asilo Tommaso è morto mentre giocava. Investito da un’auto che veniva giù in discesa, veniva giù perché non frenata. Altro bambini stanno soffrendo e lottando per la vita. Sopravvissuti sono i genitori di Tommaso. Sopravvissuta è la mamma che ha portato e lasciato l’auto su quella discesa. Sopravvissuti, la vita che loro resta e comincia da sopravvissuti è una vita amputata, monca, al limite dell’invivibile per mamma e papà di Tommaso e vita sfregiata per la mamma che avrà sempre alla spalle la sensazione di un’ombra di morte, quella che la sua auto portò tra i bambini dell’asilo in un giorno di maggio 2022.