Tor Sapienza, Corcolle…intorno a Roma catena di guerra bianchi-neri

Tor Sapienza, Corcolle...intorno a Roma catena di guerra bianchi-neri
Polizia intorno al centro accoglienza di Tor Sapienza

ROMA – A Tor Sapienza, dove la gente del posto tira petardi e manganellate agli immigrati del centro di accoglienza accusati di furti e aggressioni. A Corcolle, dove la tensione intorno a un centro simile ha portato gli stranieri a prendere a bastonate un paio di autobus e i residenti a scendere in strada per mandare via loro, “gli altri”, i neri. Difficile definire i torti e le ragioni di questa guerra, una guerra tra bianchi e neri in qualche modo nuova perchè il livello di violenza e tensione non è paragonabile al passato, per lo meno a Roma. Tor Sapienza e Corcolle, ma domani potrebbero essere la Romanina, l’Ardeatina, Ponte Mammolo. 

Dicono sia la storia di tutte le migrazioni, quando le comunità “altre” si innestano nel tessuto sociale delle grandi città europee. Sempre in periferia, gomito a gomito con situazioni sociali già precarie, già difficili. Cova il fastidio per anni, piccoli furti, piccoli reati, la polizia arriva e si fa più presente, la microcriminalità “autoctona” si infastidisce e non gradisce tutta l’attenzione. In Francia le chiamano “banlieu”, ed è un termine che i francesi conoscono da anni e anni, insieme allo strascico di guerriglia locale, di fazioni, di periodici lanci di petardi e bastonate, se non peggio. E’ arrivata, ormai si può dire, anche a Roma: oggi Tor Sapienza e Corcolle, domani altrove. Mancanza di mezzi e di istituzioni, torti e ragioni che si mischiano e sarà difficile, se non impossibile, ricomporre per mettere ordine. Per capire è sufficiente ascoltare qualche voce da Tor Sapienza, come si legge sul Corriere della Sera:

«Qua è ‘na tragedia», inquadra la situazione Gabriella Errico, presidentessa della cooperativa che gestisce il centro d’accoglienza, «l’altra sera hanno tirato sedici bombe carta. Ma, vede, noi non ce ne possiamo andare. Come dicono i colleghi delle altre cooperative, poi si sposterebbero alla Prenestina, all’Ardeatina…», come la pallina della roulette appunto. Gli ospiti del centro sono accusati di furti, provocazioni, persino di cambiarsi nudi alla finestra. Francesca, dirigente della struttura, calabrese, sospira: «La verità? I ragazzini sono quasi ingestibili. Vengono qui direttamente dallo sbarco. Su di loro devi partire da zero… avessimo cinque anni di tempo! Nessuno ruba. Ma qui si aggiunge disagio a disagio».

Accanto, due dei più giovani si azzuffano. Gabriella Errico sospira: «Giocano, sono esuberanti. Sa, gli egiziani?». In questa storia non si vedono ragioni, tutto sembra un torto. Persino le dimensioni del centro «Un sorriso», quasi quattromila metri quadrati per una settantina di rifugiati a 25 mila euro al mese di affitto pagati da Europa, Stato italiano e Comune di Roma. Certi spazi fanno gola in un quartiere dove prima si occupa e poi si dice buongiorno. «Ma questa è la sede della cooperativa sociale, non c’è solo l’accoglienza», spiega ancora Francesca. Di sicuro il centro attira molta polizia e la cosa non può far piacere ai padroncini dello spaccio locale: anche qualcuno di loro era in mezzo ai tafferugli.

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