PALERMO, 18 GIU – Tra le centinaia di migliaia di carte agli atti dell'indagine sulla trattativa Stato-mafia, da venerdì a disposizione dei legali dei 12 indagati, ci sono due deposizioni testimoniali di Loris D'Ambrosio, consigliere giuridico del presidente della Repubblica, sentito dai pm di Palermo sulla nomina a numero due del Dap di Francesco Di Maggio, un personaggio che i magistrati ritengono fondamentale nella ricostruzione delle fasi relative alle revoche dei 41 bis a oltre 300 mafiosi, decise nel novembre del 1993 dal Guardasigilli Giovanni Conso, quando D'Ambrosio lavorava a Via Arenula.
Un atto di 'ammorbidimento' verso la mafia che, a dire della Procura, rientra proprio nel dialogo aperto da pezzi delle istituzioni con Cosa nostra. Il 20 marzo scorso i magistrati chiedono a D'Ambrosio, che tra il 1992 e il 1993 era al ministero della Giustizia, se ricorda i particolari della nomina di Di Maggio. All'epoca del conferimento dell'incarico Di Maggio non aveva i requisiti per andare al Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria perche' non era magistrato di Cassazione. Per superare l'ostacolo, con decreto del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, venne fatto dirigente generale della presidenza del Consiglio.
Ma davanti ai pm D'Ambrosio sostiene di non ricordare. Una circostanza che, secondo la Procura, cozza con quanto il consigliere giuridico di Napolitano successivamente dirà all'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino durante alcune telefonate che vengono intercettate in quanto l'ex capo del Viminale è indagato nella trattativa per falsa testimonianza. Nelle conversazioni con Mancino, D'Ambrosio ricorda il particolare del decreto ad hoc per la nomina di Di Maggio tanto da rammentare che il testo venne preparato alla sua presenza nella stanza di Liliana Ferraro, all'epoca direttore degli Affari penali di via Arenula.
La diversa versione sul fatto fornita da D'Ambrosio spinge i pm, il 16 maggio, a risentirlo. In questa circostanza il consigliere giuridico di Napolitano avrebbe precisato la vicenda fornendo alcuni particolari e spiegando l'effettivo significato della telefonata a Mancino. Il nome di D'Ambrosio nei giorni scorsi e' venuto fuori proprio per le telefonate con Mancino che, in piu' occasioni, si sarebbe sfogato con lui parlando di una disparita' di vedute delle tre procure che di fatto indagano sulla trattativa – quelle di Palermo, Caltanissetta e Firenze – e di un accanimento dei pm del capoluogo siciliano nei suoi confronti.
L'ex presidente del Senato e' arrivato a mettere per iscritto le sue doglianze che il presidente della Repubblica, attraverso il segretario generale del Quirinale, ha trasmesso al pg della Cassazione. Per – ha precisato sabato il Colle smentendo seccamente qualunque interferenza nell'indagine – ''richiamare l'attenzione del pg sui problemi di coordinamento fra le tre procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze''. Specie al fine di ''dissipare le perplessita' che derivano dalla percezione di gestioni non unitarie delle indagini collegate''. Per evitare insomma, ''l'insorgere di contrasti ed assicurarne il sollecito superamento'' e ''pervenire tempestivamente all'accertamento della verita' su questioni rilevanti''.