Trieste. All’asilo i bambini si scambiano i vestiti per “parità di genere”

Trieste. All'asilo i bambini si scambiano i vestiti per "parità di genere"
Trieste. All’asilo i bambini si scambiano i vestiti per “parità di genere”

TRIESTE – All’asilo i bambini si scambiano i vestiti per “parità di genere”. O meglio: i bimbi potranno indossare abiti che non sono esattamente legati al proprio genere. Negli asili di Trieste i bambini sono incoraggiati dalle maestre al “gioco del rispetto” che consiste, tra le altre cose, nel far indossare ai maschietti vestiti da principessa, per esempio, e le femminucce da cavaliere. L’invito, secondo il programma pedagogico della Regione Friuli Venezia Giulia (Pari e Dispari, il Gioco del rispetto) è abituare i bambini fin dalla tenera età ad abituarsi allo scambio dei ruoli e dei generi ed abbattere così gli stereotipi: si gioca a disegnare la mamma munita degli attrezzi del meccanico o dell’idraulico, il padre alle prese con il ferro da stiro.

Racconta Gianpaolo Sarti su Repubblica che il gioco, tuttavia, ha fatto insorgere alcuni genitori preoccupati della confusione dei generi che la diocesi di Trieste bolla come tentativo occultato di promuovere “la nota ideologia del gender”. Almeno tre interrogazioni parlamentari sono state approntate da politici di destra per mandare subito gli ispettori a Trieste.

L’iniziativa pedagogica, cui partecipano insegnanti e psicologi, che è su base volontaria per i maestri d’asilo, “propone un cambiamento di atteggiamenti sul tema del genere e delle pari opportunità, persuasi che il cambiamento culturale avviene con la formazione delle nuove generazioni”, spiega la delibera comunale.

Agli asili sarà presto distribuito un kit che contiene i giochi. Nella parte iniziale si domanda alle maestre di compilare una serie di schede “di osservazione” in classe. Del tipo: “Quanto è diffuso l’uso del rosa, fucsia, blu e nero?”. Ancora: “Quali giochi genderizzati, come passeggini e cosmetici, sono presenti?”. “Capita che i maschi provino travestimenti?”.

Ai bimbi invece andranno poste altre domande, come una sorta di intervista, peraltro da filmare: “Come si può distinguere un bambino o una bambina? C’è qualcosa che non è permesso indossare?”. Poi si passa ai giochi, con la possibilità di trasformarsi in personaggi di fantasia o lanciarsi in vere e proprie corse. Al termine delle quali, per rinforzare la percezione, è possibile “esplorare i corpi dei compagni”, e “ascoltare il battito del cuore”. È un modo per “far notare che quanto si prova è uguale per maschi e femmine”. (Gianpaolo Sarti, La Repubblica)

Questa della percezione dei corpi reciproca è sicuramente la parte più sensibile specie agli occhi degli scettici e dei contrari per principio, su cui si appuntano le critiche e la denuncia di “deriva” meritevole dell’attenzione del Ministero. Le autorità scolastiche mettono in chiaro che non si tratta di un surrogato di educazione sessuale ma che è importante che i bambini possano “riconoscere che ci sono delle differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell’area genitale. È importante confermare la diversità, nominando senza timore i genitali”.

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