Troppe critiche su Facebook: scoperti, vengono licenziati

Pubblicato il 13 Febbraio 2011 - 12:52 OLTRE 6 MESI FA

Anche un commento su Facebook può portare a provvedimenti disciplinari e al licenziamento dalla Cassa Nazionale di Previdenza dei Commercialisti, secondo un articolo scritto per Repubblica da Marco Mensurati e Fabio Tonacci.

Secondo Repubblica, “da quando si è insediato il nuovo Cda nel 2008, il clima in azienda – 164 impiegati e 50 mila iscritti – è pessimo. In 24 mesi sono stati emessi 22 provvedimenti disciplinari. Si litiga per i buoni pasto, si litiga per i premi di produzione, si litiga per tutto. Girano vignette che ritraggono il presidente Walter Anedda con il fez fascista e il direttore generale Tommaso Pellegrini vestito da scolaretto.

Una guerriglia che ha portato la dirigenza a utilizzare quella che potrebbe diventare l'”arma finale”: lo spostamento del conflitto sindacale nella realtà virtuale, l’intrusione aziendale nella vita online dei propri dipendenti, in quella sfera ambigua eppure ormai necessaria, né del tutto privata né del tutto pubblica, che sono i social network. “Ma non è spionaggio – è l’unico commento rilasciato da Anedda a Repubblica – ci siamo imbattuti in quei post in modo casuale”.

Comunque sia, basta leggere le 17 pagine della contestazione disciplinare fatta a Francesco, un altro dipendente, anche lui come Fabiola finito nei guai per un commento su Facebook, per capire il potenziale rivoluzionario di questa mossa. Francesco ha 32 anni, lavora alla Cassa da 7, ma nell’ultimo mese è stato sospeso tre volte, una delle quali perché in ascensore non aveva salutato il presidente. Scaramucce che non avrebbero portato a nulla se Francesco non avesse deciso di condividere online le proprie idee.

Giovedì 27 gennaio, Anedda e Pellegrino gli consegnano infatti il quarto provvedimento, quello che secondo le regole aziendali fa scattare il licenziamento. Un dipendente in meno. Francesco lo legge e trasecola. Il suo profilo era tenuto sotto osservazione da tempo, le sue parole, le sue foto, i suoi “I like” erano stati annotati, registrati e archiviati, uno a uno. Ha usato parole pesanti e lo sa bene. Parole che pronunciate in una sede pubblica avrebbero giustificato il licenziamento. Ma lui le aveva scritte in privato, protesta. E non da un computer aziendale ma dal telefonino personale o da casa. Fuori dall’orario di lavoro.