Omicidio Bruno Caccia, colpo di scena: imputato Rocco Schirripa scarcerato e riarrestato

Uccise 30 anni fa il procuratore di Torino Bruno Caccia? Non lo sapremo mai. Per un errore di un pm Rocco Schirripa presto libero
Uccise 30 anni fa il procuratore di Torino Bruno Caccia? Non lo sapremo mai. Per un errore di un pm Rocco Schirripa presto libero. Nella foto: la scena del delitto e nel riquadro Bruno Caccia

La Corte d’Assise di Milano ha accolto la richiesta di scarcerazione di Rocco Schirripa, accusato dell’omicidio del procuratore Bruno Caccia, ucciso a Torino nel 1983.

Subito dopo, però, è arrivato il fermo (che dovrà essere convalidato) firmato nuovamente dal pm Tatangelo, provvedimento a cui stavano lavorando già da ieri gli inquirenti della Dda, guidata da Ilda Boccassini, che ha puntato a salvare quegli atti dell’inchiesta effettuati prima dell’iscrizione di Schirripa nel registro degli indagati.

Domani all’udienza del processo, che era già fissata, la Corte, però, dovrà decidere a questo punto sul destino del processo, che era giunto quasi a metà del dibattimento e che per la “inutilizzabilità” degli atti potrebbe essere azzerato.

Un mistero che dura da più di 30 anni, il delitto Caccia, che non è nemmeno proprio un mistero ma è una incredibile storia di come un errore formale di un magistrato possa fare liberare un assassino.

Un cold case in piena regola che però è anche una patata bollente perché la vittima fu procuratore capo della Repubblica a Torino, Bruno Caccia. Fu Caccia, con la sua inchiesta a tappeto sulla corruzione nella politica di Torino, il vero iniziatore di Mani Pulite. Con le sue indagini guardò a fondo in molti angoli dove nessuno aveva mai messo il naso prima.

Fino a quando, il 26 giugno 1983, la mano di un killer armata dalla ‘ndrangheta lo fermò per sempre. Su Repubblica, Ottavia Giustetti ricostruisce gli ultimi sviluppi delle indagini, riaccese dalle rivelazioni di un pentito 20 anni fa. Una storia che ha dell’assurdo e getta luce su uno scontro fra Procure.
Rocco Schirripa era già stato sotto inchiesta a Milano,  vent’anni fa, sospettato anche allora dell’omicidio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia. Peccato che in Procura nessuno se ne sia accorto. Nessuno ricordava, e non era neppure tra gli atti dei difensori, quel “fascicolo fantasma”, aperto il 13 novembre 1996 dal pm Giovanbattista Rollero, sulla scia delle dichiarazioni del pentito Vincenzo Pavia, raccolte dalla procura di Torino. È l’indagine che potrebbe chiudere per sempre ogni speranza di trovare un colpevole in questo processo infinito e tormentato.
I magistrati hanno commesso un errore di procedura, dimenticando o non sapendo che esisteva questa inchiesta. E hanno saltato un passaggio, omettendo di farsi autorizzare la riapertura delle indagini. Così ora sono inutilizzabili tutti gli atti della nuova indagine, quella che solo nel 2015 ha incastrato davvero Schirripa. E non è il solo colpo di scena. Un altro elemento conferma l’insolita geometria di alleanze di questa travagliata vicenda: è stato l’avvocato della famiglia Caccia ad accorgersi dell’errore e a denunciarlo. Sono stati i figli del procuratore di Torino, che da anni chiedono il processo nei confronti dei responsabili dell’omicidio, a mettere la procura di Milano con le spalle al muro. «Il processo deve essere secondo giustizia — dice Fabio Repici, il loro avvocato — prima o poi sarebbe venuto fuori. È l’errore più incredibile cui mi sia capitato di assistere in tanti anni di professione».
Una cartellina vuota: priva di intercettazioni e di acquisizioni di atti. Non ci sarebbe neppure l’interrogatorio del pentito Vincenzo Pavia, il cognato di Domenico Belfiore (unico condannato come mandante per l’omicidio Caccia) che aveva dato impulso all’inchiesta nel 1996, pochi mesi prima, cominciando a collaborare con i pm di Torino. Lo ha detto Vincenzo Pavia in aula il 9 novembre, quando ha ripetuto nel processo le sue rivelazioni: «No, non sono mai stato sentito da un magistrato a Milano». Dunque, il pm Rollero ha solo scritto sulla cartellina i nomi dei cinque sospettati: Rocco Schirripa, Renato Angeli, Giuseppe Belfiore, Vincenzo Pavia e Tommaso De Pace. E come l’aveva aperta, il 21 febbraio 2001 senza che gli indagati ne avessero notizia alcuna, ne ha chiesto l’archiviazione.
«Nella fase più delicata del processo si scopre un’archiviazione del 2001 di cui gli indagati non avevano notizia — dice l’avvocato di Schirripa, Mauro Anetrini — Neppure noi difensori che abbiamo letto gli atti dalla prima all’ultima pagina, ne sapevamo nulla».
Lo scrive il pm di Milano, Marcello Tatangelo, il magistrato che a dicembre 2015, insieme con Ilda Boccassini, festeggiava in conferenza stampa la soluzione di un giallo durato 30 anni. E che oggi, invece, è costretto a firmare di suo pugno l’esecuzione capitale dell’inchiesta: «Tutti gli atti del procedimento sono affetti da inutilizzabilità, anche ai fini dell’emissione di una misura cautelare». E chiede al presidente della Corte d’Assise di Milano che Rocco Schirripa venga scarcerato.
«È stato un errore — dice Marcello Tatangelo — un errore incredibile di cui mi assumo tutta la responsabilità. Ci risultava solo che Torino avesse inviato nel 1996 un fascicolo senza indagati». Il pm avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione al gip prima di riaprire una nuova inchiesta il 25 novembre 2011.

 

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