Uccise e decapitò il socio a Como: Alberto Arrighi condannato a 30 anni

COMO – E’ stato condannato a 30 anni di reclusione per omicidio volontario Alberto Arrighi, 40 anni, l’armiere comasco che il primo febbraio dello scorso anno uccise e decapitò  l’imprenditore Giacomo Brambilla, 43 anni, titolare di vari distributori di benzina e suo socio in affari. Arrighi poi nascose la testa della sua vittima nel forno di una pizzeria. La sentenza è stata pronunciata nel pomeriggio del 4 febbraio dal giudice dell’udienza preliminare Maria Luisa Lo Gatto che ha applicato il rito abbreviato. In mattinata il pm Antonio Nalesso aveva chiesto la condanna a 30 anni, contestando ad Arrighi l’aggravante della premeditazione, mentre la difesa ha ritenuto insussistente l’aggravante, chiedendo per contro l’applicazione delle attenuanti generiche.

Alberto Arrighi ha ascoltato impassibile la sentenza che lo ha ritenuto colpevole di omicidio volontario pluriaggravato, con la contestazione di quella premeditazione che ha sempre cercato di negare. Questa mattina, prima che il giudice si ritirasse in Camera di Consiglio, aveva reso una dichiarazione spontanea: ”Ho sbagliato e me ne rendo conto – aveva detto -. Con il mio gesto ho rovinato due famiglie. Chiedo scusa a tutti”. Non gli è bastato per evitare quella che, nella fattispecie, è una condanna tecnicamente molto vicina al massimo possibile: 30 anni di reclusione più re anni di libertà vigilata, inflitti con rito abbreviato.

L’armiere è  stato inoltre condannato anche a risarcire le parti civili con una provvisionale complessiva di 600 mila euro, a favore della moglie, del figlio, dei genitori e del fratello della vittima. L’omicidio di Giacomo Brambilla fece molto scalpore per le modalità raccapriccianti con cui Arrighi, con l’aiuto del suocero Emanuele La Rosa (che aveva in precedenza patteggiato tre anni e cinque mesi) tentò di sbarazzarsi del cadavere: il corpo decapitato della vittima venne abbandonato in un dirupo in provincia di Novara, mentre la testa fu ritrovata dalla polizia nel forno della pizzeria di famiglia dei La Rosa, a Senna Comasco, dove il suocero l’aveva messa a cuocere.

Reo confesso, Arrighi ha sempre negato di avere premeditato il delitto di Brambilla, che era entrato nella gestione dell’ armeria, in difficolta’ economiche, e che intendeva rilevarla completamente, estromettendo lo stesso Arrighi. E’ stato proprio sull’aspetto della premeditazione che si è  giocata l’udienza preliminare. L’accusa l’ha sostenuta sulla base di vari elementi: l’arma che gia’ stata preparata, la scelta di Arrighi di avere chiamato Brambilla in negozio nel giorno di chiusura e la disponibilità dei sacchi neri con cui è  stato poi avvolto il cadavere.

La difesa, invece, ha sostenuto che si è trattato di un delitto d’impeto, maturato all’improvviso dopo l’ennesima discussione per motivi economici. Il giudice, dopo tre ore di Camera di Consiglio, sembra avere avuto pochi dubbi, se alle richieste del pubblico ministero ha aggiunto anche tre anni di libertà vigilata.

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