TORINO – Un avvelenamento lento, a piccole dosi di topicida, per ammazzare la vecchia zia di 97 anni e mettere le mani sulla ricchissima eredità. Questo il piano malriuscito di Elisabetta Martini, 62 anni, e suo figlio Marco Coggiola, di 36, rispettivamente nipote e pronipote dell’anziana, da anni ricoverata in una casa di riposo a Cavour, in provincia di Torino.
A rovinare il diabolico disegno è stato un medico che ha notato i valori alterati negli esami del sangue della povera donna. Di lì la denuncia e i primi sospetti cadono sulla nipote Elisabetta, già condannata a sei mesi con la condizionale per appropriazione indebita, quando aveva provato a farsi nominare “amministratore di sostegno” della zia. Incarico subito revocato.
Nipote e pronipote però non si danno per vinti e decidono di eliminare definitivamente la zia per mettere le mani sul ricco libretto dei risparmi. Lentamente cercano di riconquistare la fiducia della zia, dei parenti e degli infermieri della casa di riposo. Visite frequenti e tutte le attenzioni che l’anziana merita: mousse al cioccolato, gelatine di frutta, brodini, ecc. Se non fosse che il cibo era tutto avvelenato, quanto basta per accelerare il decesso e farlo sembrare naturale.
Al terzo ricovero in ospedale, i dubbi di un medico scrupoloso hanno svelato l’arcano. E per incastrare i parenti sanguisughe la polizia gli tende un tranello, installando una microcamera nascosta nella stanza dell’anziana signora. La sorveglianza è durata un mese e mezzo. Il pomeriggio del 3 giugno ci hanno provato ancora e per questo sono stati arrestati, cucchiaino alla mano.
“Se fosse morta, la zia avrebbe finito di soffrire”, hanno provato a giustificarsi i due. Ma, sfortunatamente per loro, c’è un movente, l’eredità, che potrebbe costituire un aggravante sull’accusa di tentato omicidio per “motivi abietti”.