I loro terreni valgono oro, ma non cedono: la “resistenza” dei contadini veneti

Pubblicato il 10 Gennaio 2011 - 13:50 OLTRE 6 MESI FA

I loro terreni varrebbero oro, ma lo “zoccolo duro” dei contadini veneti preferisce non cedere alle “lusinghe del cemento”: “Non vendiamo, potremmo incassare molti soldi, ma preferiamo continuare a svolgere il nostro mestiere”. La vicenda degli agricoltori è raccontata su La Repubblica da Francesco Erbani.

Le storie, ambientate perlopiù nel Trevigiano, riguardano “proprietari di terreni che i Comuni vogliono rendere edificabili per farci villette e capannoni industriali. Ma loro si oppongono e insistono perché restino agricoli. Ci perdono tanto: il cambio di destinazione può valere dalle cinque alle dieci volte il prezzo di partenza”.

Erbani ha preso ad esempio di questa “resistenza” le famiglie Favaro e Caldato. “I Favaro hanno 4 ettari di terreno a Morgano. Coltivano mais. Ma la loro specialità è un vivaio di piante autoctone – aceri, querce, olmi, platani – allevate in un piccolo bosco che ripropone un brandello di paesaggio veneto. Chi le compra le lascia crescere lì e poi le porta via con l’intera zolla dopo tre o quattro anni. L’amministrazione comunale ha deciso che Morgano deve ingrandirsi con un’area industriale di 90 mila metri quadri in una zona paludosa, circondata da corsi d’acqua e che, sovrastata di cemento, rischia di finire sotto, come durante l’alluvione di due mesi fa. Siamo nel Parco del fiume Sile, in un sito protetto dalla Comunità europea. In questi 90 mila metri quadri ci sono i 40 mila dei Favaro. “A noi bastano i soldi che guadagniamo facendo gli agricoltori. Qui il cemento si mangia la terra, ma non porta più ricchezza”, dice uno dei fratelli Favaro, “se avessimo l’edificabilità e vendessimo non ci darebbero soldi, ma un appartamentino in una villetta a schiera”. Ora la decisione rimbalza fra Comune e Regione. Ma se l’edificabilità fosse imposta, i Favaro andranno in tribunale”.

Analoga è la vicenda dell’altra famiglia: “Più piccolo, 18 mila metri quadri, il terreno dei Caldato, alle porte di Treviso. Ma molto antica la storia che Pietro, con il fratello Roberto e la sorella Enrichetta, ha ricostruito fin dal Seicento e che attesta la loro proprietà dai primi dell’Ottocento. Ci sono una vigna, un orto e tanto prato. Ma il Comune di Treviso vorrebbe farne area industriale, squarciando il terreno con una strada che sfocia in una rotonda. E ai Caldato chiede di pagare l’Ici dal 2003, quando fu approvata la variante al piano regolatore: quasi 60 mila euro. “Della ricchezza che altri inseguono non sappiamo che farcene”, dice Pietro. Ora con il Comune è in corso una trattativa. È intervenuto il sindaco. “Rischiamo di perdere la nostra terra e la nostra libertà. Ma ancora preserviamo il nostro modo di pensare e di vivere. I soldi? Non possiamo portarceli dietro quando saremo morti”.