Cani adesca elemosina, Torino li vieta. E acqua e sacchetto padrone perfetto Cani adesca elemosina, Torino li vieta. E acqua e sacchetto padrone perfetto

Via i cani a chi chiede elemosina, a Torino la Appendino li vieta. E acqua e sacchetto padrone perfetto

Cani adesca elemosina, cani usati da chi chiede elemosina come una sorta di richiamo pubblicitario. Cani strumento di una sorta di marketing dell’elemosina organizzata. Torino li vieta emettendo ordinanza-avviso: saranno tolti a chi li usa sistematicamente in questo modo e per questi fini.

Proteste, anche quelle dei fischi per fiaschi

Ovviamente c’è chi protesta (a memoria di umano italiano vivente non c’è traccia di avvenimento, qualunque e anche minimo il cui sotto titolo non sia sia: proteste e polemiche…). Protestano gli animalisti, ma è la protesta di chi ha inteso fischi per fiaschi: i cani non c’entrano, non sono né l’obiettivo né il problema. Con qualche maggior titolo e ragione protestano o almeno si preoccupano i padroni di cani. Come si fa a distingue e chi distingue tra il cane che porti in giro come divisa da mendicante, tra il cane adesca elemosina e il cane che è parte della tua vita, anzi della tua famiglia?

Cani elemosina: clochard o racket?

Dice saranno i Vigili a distinguere, caso per caso. Non una risposta piena, non una risposta convincente. Perché è difficile, complesso e delicato distinguere, per così dire, a monte dei cani. Quale la colpa o l’indecenza di un clochard (falsa coscienza sconsiglia scrivere barbone, in francese fa più fino) che vive in strada più o meno in simbiosi con il suo cane? Nessuna. E togliergli il cane in questo caso somiglia al togliere la ciotola all’affamato perché, mangiando, sporca. Ma non ci sono solo i clochard.

Ci sono, negarlo è ipocrita, gli organizzatori e i dipendenti del ramo elemosina organizzata. Detentori, spesso furiosamente gelosi, dello spazio pubblico occupato. Questuanti seriali ed organizzati. Forse racket è troppo e forse no. Ma di certo la richiesta massiccia e pianificata di elemosina non di rado sconfina in una sorta di pedaggio di fatto imposto soprattutto alla popolazione anziana e femminile. E in molti casi il cane non è il compagno di vita del senza casa, è un richiamo affettivo-emotivo a sganciare qualche spicciolo. Cane adesca, l’equivalente piscologico di una gonna troppo corta o un sorriso troppo largo. E qui togliere il cane non è crudeltà, è invece sottrarre il cane e la pubblica amministrazione ad una sostanziale complicità.

La pipì dei cani

La pipì dei cani, altro problema irrisolto e molto molto liquido. Mica solo a Torino. Se in quasi tutta Italia (al Sud parecchio meno) più o meno la maggioranza (non tutti) dei padroni di cani vanno in giro con sacchetto per raccogliere le deiezioni canine di appartenenza (insomma la cacca dei loro cani), praticamente nessuno dalle Alpi al Lilibeo ritiene suo compito e dovere occuparsi della pipì dei medesimi e rispettivi cani. Pipì che scorre libera e a disposizione di tutti coloro che ci camminano sopra e a fianco.

Pipì che si installa e permane, con il suo odore. Pipì che diventa e viene lasciata per così dire pubblica, dopo che il cane l’ha fatta non è più di nessuno. Eppure sta là. Ecco, a Torino introducono l’obbligo della bottiglia d’acqua da portarsi insieme al cane quando si va a farla fuori. Bottiglia d’acqua per diluirla la pipì dopo che il cane l’ha fatta. Bottiglia, borraccia che sia: acqua e sacchetto padrone perfetto. Vasto e impegnativo programma.

 

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