ROMA – Raniero Busco non ha ucciso la ex fidanzata Simonetta Cesaroni in via Poma, a Roma. La sentenza della Cassazione ha confermato l’assoluzione, già arrivata in Appello, per Busco, accusato di aver ucciso la donna 24 anni fa.
Alla lettura della sentenza Busco è scoppiato in lacrime, sostenuto dai suoi familiari e dagli amici che hanno sempre creduto nella sua innocenza. Parole di delusione invece da parte della famiglia di Simonetta, il cui omicidio resta così senza colpevoli.
Simonetta Cesaroni fu uccisa negli uffici dell’Associazione Alberghi della gioventù a Roma in via Poma il 7 agosto del 1990: l’assassino infierì sul corpo della giovane segretaria con 29 coltellate. Il corpo fu ritrovato dalla sorella Paola e dal datore di lavoro di Simonetta.
Busco era stato condannato in primo grado a 24 anni di reclusione ed assolto in appello “per non aver commesso il fatto”. Quest’ultima sentenza era stata impugnata dalla Procura Generale di Roma ed anche il pg della Cassazione, al termine della requisitoria, aveva chiesto l’annullamento della sentenza di secondo grado e un nuovo processo. I Supremi giudici sono stati di diverso avviso ed hanno confermato l’assoluzione di Busco che diventa così irrevocabile.
Franco Coppi, difensore di Raniero Busco, dopo l’assoluzione definitiva ha dichiarato:
“Sono estremamente soddisfatto di questa decisione della Cassazione, e, del resto, non poteva che essere così, perché l’assoluzione era perfettamente motivata. Rimane il dispiacere per il barbaro omicidio di una giovane ragazza e spero che presto prendano il colpevole. Come cittadino, dopo verdetto, esprimo fiducia nella giustizia”.
Delusione invece per i familiari di Simonetta, come spiega Federica Mondani, legale di parte civile dei Cesaroni:
“Siamo ovviamente delusi da questo verdetto di assoluzione perché c’erano forti incongruenze. Adesso quello di Via Poma resta un delitto senza colpevoli. Rimaniamo convinti che c’erano elementi importanti contro Busco”.
Roberta Milletarì, moglie di Busco, ha dichiarato:
“Mio marito ed io siamo felicissimi, ci siamo liberati da un incubo. Adesso questa vicenda è finalmente sepolta”.
La vicenda giudiziaria di Busco dura da 5 anni, ma da 24 il mistero rimasto insoluto. È il 9 novembre del 2009 quando la Procura della Repubblica di Roma ottiene il rinvio a giudizio di Busco per l’omicidio volontario di Simonetta Cesaroni, la ragazza con la quale, all’epoca dei fatti, era fidanzato.
In Corte d’Assise i periti della Procura di Roma sostengono che l’arcata dentale di Raniero è compatibile con la traccia di un morso lasciata sul seno di Simonetta. Per i giudici di primo grado quella perizia è decisiva e, il 26 gennaio 2011, l’ex fidanzato viene riconosciuto colpevole e condannato a 24 anni di carcere.
Nel processo di secondo grado, altri periti, nominati da Lucio D’Andria, presidente della prima Corte d’Appello, non solo rigettano le conclusioni peritali cui sono giunti i consulenti della Procura, ma mettono addirittura in dubbio che la piccola lesione in prossimità del capezzolo possa essere un morso. Il 27 aprile 2012 Busco viene assolto per non aver commesso il fatto.
Il 26 febbraio la sentenza della Corte di Cassazione conferma l’assoluzione per Busco. Nell’omicidio di via Poma – a leggere le sentenze fin qui prodotte – hanno fallito sia l’inchiesta svolta con i mezzi disponibili nel 1990, sia quella basata sulle tecniche scientifiche di investigazione.
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