Vicenza, incastrato dal ‘tovagliometro’. Ristoratore-evasore condannato a pagare 18.500 euro

E’ “fatto normale che il cliente consumi un solo tovagliolo per ogni pasto”, per cui è legittimo presumere il numero dei pasti serviti (e con esso i ricavi effettivi) sulla base del numero dei tovaglioli consumati. A dirlo era già una sentenza della Cassazione del 2005 e ora l’ha ribadito. La Cassazione ha così dato torto ad un ristoratore, chiamato in giudizio dall’Ufficio delle Entrate di Bassano del Grappa, che ora dovrà versare al fisco 18.500 euro, comprensivi di imposte e sanzioni.

Dopo la commissione tributaria provinciale di Vicenza e quella regionale di Venezia, anche la Corte di Cassazione ha riconosciuto corretti gli esiti di una verifica fiscale nei confronti di un ristorante cittadino il cui reddito d’impresa appariva «incongruente alla luce di un elevato costo sostenuto per personale, ubicazione in pieno centro storico, notorietà confermata da una rinomata tradizione culinaria», spiegano le Entrate.

I segugi del fisco hanno riscontrato infatti una «parziale divergenza tra i riscontri contabili e quanto dichiarato dalla parte in sede di contraddittorio sull’acquisto delle materie prime e sulla preparazione di primi e secondi piatti».
Il metodo utilizzato dal Fisco è il cosiddetto “tovagliometro”. «Di fronte ai suddetti indizi di evasione – è detto in una nota dell’Agenzia delle Entrate – i verificatori hanno proceduto alla ricostruzione indiretta dei ricavi partendo dal dato oggettivo del numero dei tovaglioli utilizzati nell’anno in discussione, nella ragionevole presunzione che ad ogni tovagliolo utilizzato corrisponda, in linea di massima, un coperto, e tenendo conto del prezzo medio di ciascun pasto».

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